Ausl Romagna, il dg Carradori: «Oltre il 10% dei sanitari dice no al vaccino»
Silvia Manzani
Sono meno di 2mila, su oltre 16.500, le persone che lavorano per l’Asl Romagna a stretto contatto con i pazienti che hanno scelto, per il momento, di non vaccinarsi contro il Covid. A dirlo è il direttore generale Tiziano Carradori, che ammette come sia difficile prevedere che cosa succederà, nelle prossime settimane, alla luce del decreto 44 del primo aprile che prevede l’obbligo della vaccinazione per chi svolge le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario che operano nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali.
Direttore, oltre il 10% degli operatori tra infermieri e caposala, medici e Oss, ha detto no al vaccino. Che cosa conoscete di loro?
«Per ora nulla, nemmeno i loro nomi, almeno fino a quando non verranno trasmessi alla Regione, che poi farà partire le procedure. Ho calcolato che ci vorranno almeno 25 giorni per ogni posizione, considerati i vari passaggi, per decidere il da farsi. Si partirà dall’invito da aderire alla campagna, per poi procedere con le verifiche del caso. La sospensione è chiaramente l’ultima spiaggia, prima di arrivarci il decreto parla del fatto che al lavoratore possano essere assegnate mansioni diverse da quelle che prevedono il contatto diretto con i pazienti».
Prevedete che parte dei 2mila non vaccinati cambieranno idea?
«Per ora non riusciamo a prevedere quanti resteranno sulle proprie posizioni e quanti no, stiamo comunque monitorando questo aspetto, anche attivando delle sedute straordinarie per i colleghi che abbiano maturato la decisione di vaccinarsi. Delle sedute serali hanno beneficiato in diversi, dunque parliamo di numeri in evoluzione».
Lei che idea si è fatto, della questione?
«Io credo che tolte le ragioni di salute che possono giustificare un esonero, la vaccinazione contro il Covid sia un obbligo etico-deontologico, prima ancora che normativo».
La preoccupano le ripercussioni organizzative?
«Certo, anche perché siamo in un momento nel quale il fabbisogno di personale per l’assistenza supera il numero di persone che il mercato ci mette a disposizione. A questo si aggiunge il fatto che la nostra capacità di collocare i professionisti non vaccinati in ruolo non assistenziali è limitata. Insomma, potremmo avere difficoltà nei processi sostitutivi. Consideriamo anche che la partita di cui sto parlando riguarda anche tutto il sistema privato».