Federico Savini
«La prima cosa da chiarire è che i “real vampires” sono persone normalissime e non c’entrano niente con sette, satanismo e roba simile, alcuni sono pure cristiani praticanti. Si tratta di una condizione medica di si sa ancora poco, ma davvero chiunque può essere un “vampiro vero” e magari scoprirlo avanti con gli anni, tanto che chi si iscrive alla mia associazione in media da 40/50, non ragazzine che seguono una moda, insomma». Il ravennate Davide Santandrea, che dopo un lungo trascorso americano risiede da anni sulle colline di Meldola è un «real vampire» ed è anche al centro di tre ambiziosi progetti cinematografici che racconteranno il «vampirismo» per come è realmente, lontano anni luce dall’iconografia malvagia di bramstockeriana memoria e dalle oscurità del conte Dracula.
Nei giorni scorsi a Meldola le produzioni Blue Screen Film e Black Veil con i registi Max Ferro e Giuseppe Lo Conte, hanno girato i teaser-trailer della serie tv Diario della Bestia e delle saghe cinematografiche Horus Vampire Saga e Valleron saga, tutte scritte da Santandrea e incentrate sulla vita dei «vampiri veri», che esistono un po’ ovunque, tanto che la Lega Italiana Real Vampires di Santandrea non solo ha oltre 5500 like su facebook, ma conta qualche migliaio di iscritti che sono davvero dei «real vampire».
«E t’assicuro che uscire dal guscio e dichiararsi non è per niente facile – dice Davide Santandrea -, anche se devo dire che io non ho mai avuto problemi, specie a Meldola dove sono stato accolto benissimo».
Chi sono e perché si sa così poco dei «real vampires»?
«Ti rispondo prima alla seconda domanda: per paura dei pregiudizi, in un paese come l’Italia molta gente è refrattaria ad accettare certe realtà. La nostra è una condizione medica abbastanza nota negli Usa e in via di approfondimento. Secondo le ultime teorie deriverebbe da un retrovirus dell’Hiv che non era mai stato studiato perché non è assolutamente letale. Però ci caratterizza parecchio, ad esempio la mia temperatura corporea standard è sui 34 gradi, all’ospedale un’infermiera era convinta di avere solo termometri rotti! Poi siamo fotosensibili, il che ovviamente non significa che bruciamo al sole ma usiamo creme protettive anche in inverno. La ricostruzione ossea e cutanea è veloce il doppio rispetto alla norma e abbiamo sensi molto sviluppati, il che non è sempre un bene se pensi all’olfatto… Molti di noi hanno capacità psicometriche e aiutano la polizia a trovare tracce. Queste doti ci fanno consumare tanta energia».
Da cui il bisogno di sangue, che però è una mezza leggenda…
«Mezza, perché in effetti c’è chi lo beve, ma con il fine di recuperare energia; l’obiettivo non è il sangue in sé. I “real vampires” consapevoli da tempo della loro condizione riescono ad assorbire energia come i pranoterapeuti e con altre tecniche e quindi non hanno bisogno di sangue. I pochi che lo bevono si rivolgono a donatori assolutamente consenzienti, ma è davvero complicato, specie se hai una valida alternativa».
Com’è nata l’idea del film?
«Ho scritto tre libri sulla mia esperienza e americana in un gruppo di “real vampires” e sulla storia sul mio compagno di allora, anche lui nella mia condizione. Non li ho mai pubblicati ma li ha letti tante gente e i ragazzi della mia associazione mi hanno spinto a farne delle sceneggiature. Non l’avevo mai fatto ma conoscevo il regista Max Ferro, che mi contatò per un progetto vampiresco mai realizzato. Una volta lette le sceneggiature, che ho scritto in pochissimo tempo, si è entusiasmato e si è lanciato in un progetto cinematografico vero. Dice che non aver studiato cinema è stata la mia fortuna! Il risultato è che adesso mi trovo in vetta alla piramide di tre grandi produzioni, circondato da professionisti che mi chiedono dritte per un lavoro che non ho mai fatto!».
Di cosa raccontano i film?
«La serie tv Diario della Bestia più che con l’horror ha a che fare col sociale, racconta la mia esperienza americana, un paese in cui la nostra condizione è nota ma dove ci sono integralisti che hanno ferito e anche ucciso dei “real vampires”, presi per creature diaboliche. Affronta temi come la diversità, la discriminazione, il bullismo ma anche gli esperimenti sulle mutazioni genetiche che alcuni paesi sovvenzionano, scriteriatamente. I film Horus partono sempre dalla mia esperienza, andando più in profondità con qualche concessione alla fantasia, visto che ho scritto anche della mia morte… Invece Valleron è una storia d’amore simile a Romeo e Giulietta, con due famiglie di vampiri che si combattono: modernità e apertura da una parte, tradizione e chiusura dall’altra. Ha qualcosa di Twilight e si rivolge a un pubblico più giovane».
A proposito di Twilight, ha contribuito a umanizzare la figura del vampiro.
«Certamente, anche se dal nostro punto di vista ci sono cose che si potevano evitare, ad esempio noi non voliamo… In questi film racconteremo storie reali, ad esempio quella di una coppia di ragazzi gay cacciati dalle famiglie che sono stata in qualche modo “adottati” da nostro gruppo. Ragazzi del tutto normali, non vampiri».
A Meldola v’è addirittura un progetto turistico sulla «Città dei vampiri»…
«Sì, l’interesse per i film ad esempio ha portato un pullman dalla Francia e uno dalla Germania solo per vedere i luoghi delle riprese prima ancora di girare. Meldola mi ha accolto e ha bisogno di un rilancio economico, un po’ come la città in cui fu girato Twilight, e quindi organizziamo tour “vampireschi” e cose del genere. Abitanti ed esercenti hanno capito il nostro spirito solidale e ci aiutano. Il ricavato andrà al castello di Castelnuovo».
Obiettivi distributivi dei film?
«Abbiamo la fortuna di avere importanti finanziatori convinti della bontà del progetto, quindi le produzioni sono assolutamente serie. Per avere un lancio mondiale dei film inseriremo nel cast un attore internazionale, mentre per la serie tv siamo già in contatto con Sky e Netflix. Anche alla rai e a Mediaset hanno letto i copioni».