IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Strike
Guido Tampieri - La precettazione disposta dal ministro dei trasporti in occasione dello sciopero generale del 17 novembre é stato un atto di prevaricazione gratuito, ostile. Della sua legittimità diranno i tribunali. Della sua appropriatezza, delle sue ragioni, dei suoi significati é già possibile dire. L’interpretazione del garante è stata, ai fini della decisione, irrilevante. Se sia stata anche compiacente non lo sapremo mai. La terzietà delle persone chiamate a ricoprire incarichi di garanzia dipende dalla sensibilità istituzionale di chi le designa.
Nel caso di specie il Presidente del Senato La Russa, Ignazio, in attesa che lo diventi Geronimo, e del Presidente della Camera Fontana. Ognuno si faccia un’opinione. Per la prima volta uno sciopero generale viene fatto regredire a sciopero intersettoriale. In via di pura interpretazione. La precettazione dei lavoratori dei trasporti é stata prospettata come necessaria perché, sono parole del numero due dei Governo, «una minoranza vuole bloccare la seconda potenza industriale del continente».
É lo stesso individuo che plaudiva alle sommosse lepeniste in Francia e che non molto tempo fa, già nell’età del capire, se mi si passa l’espressione avventurosa, incitava gli italiani a «fermarsi tre giorni per bloccare l’Italia».
Io voglio bene ai miei connazionali, capisco che si possa detestare la sinistra, ma non capirò mai come si faccia a farsi rappresentare da gente così. Questo sciopero generale spacchettato tutto mi pare fuorché inteso ad arrecare danno al Paese. Quando è con tutta evidenza finalizzato a reclamare attenzione, visto che il mondo del lavoro dipendente finora non ne ha ricevuta alcuna. La Cgil, da Di Vittorio a Lama a Trentin ma ancora negli ultimi anni, con una frequenza e un’intensità degli scioperi confederali inferiore a quella degli altri Paesi, non è un sindacato che vuole fare male né ai padroni né, men che meno, agli utenti dei servizi. Resta se mai da misurare quanto questa moderazione abbia giovato alla causa dei lavoratori. É una domanda che dovrebbe porsi anche la Cisl, che ha disunito il fronte sindacale in vista di non percepibili benefici per i propri aderenti. Immemore forse che il conflitto sociale è la molla dell’emancipazione e il sale della democrazia. Non esistono diritti concessi ma solo diritti conquistati. Con un ruolo delle istituzioni nella costruzione degli equilibri di uno Stato sociale che da almeno due secoli non è di arbitro ma di giocatore. Avanzare nei confronti di un governo delle rivendicazioni e sostenerle è un’ordinaria necessità civile. Specie quando, come in Italia, il welfare si sta disgregando.
Non è questione di stabilire chi abbia più colpe ma di prendere atto di una realtà ancora ieri ribadita dalla Caritas e testimoniata dalle difficoltà quotidiane di milioni di famiglie. È ovvio che il disagio sociale non comincia oggi ma anno dopo anno la situazione si aggrava, quote crescenti di ricchezza cambiano mano e i nodi che giungono al pettine si fanno sempre più ingarbugliati. Senza che si faccia nulla per cambiare l’inerzia del sistema. Basterebbe il recupero di un po’ di evasione fiscale per far dire a chi le tasse é costretto a pagarle anche per chi sta meglio di lui, ecco sta cambiando qualcosa, eppur si muove. Niente.
Come se tra l’abbandono della sanità pubblica e i condoni e le indulgenze del fisco amico non ci fosse un rapporto. Io non credo che si potesse fare una manovra più espansiva, con tutte le spese in deficit che già ci sono e sarà difficile confermare fra un anno. La classificazione delle agenzie di rating un gradino sopra il livello spazzatura, che il Governo ascrive a suo merito, ci dice in realtà tre cose. Che l’ulteriore peggioramento dei conti pubblici é momentaneamente bilanciato dai benefici del Pnrr. Che le diseguaglianze sociali sono irrilevanti ai fini della valutazione finanziaria. Che la complottistica idea di poteri forti contigui alla sinistra e ostili alla destra é un’idiozia. La limitatezza delle risorse dovrebbe a maggior ragione ispirare l’azione del Governo a un più alto senso di giustizia sociale. Che tenga conto dei bisogni dei cittadini, che vanno oltre il contrasto ai flussi migratori e all’incarcerazione di chi imbratta un muro. La mobilitazione sindacale in questo momento interpreta un sentimento e, assieme, una necessità del Paese. Non è sempre stato così, in altri frangenti ci sono stati errori ed omissioni, i sindacati a volte sono stati un fattore di conservazione. E però è giunta l’ora di dire davvero basta, di arrestare questa fiumana della storia che sconquassa le nostre comunità. É il totale che fa la somma, diceva Totò. La fa per chi c’era prima e per chi verrà dopo questo Governo. Cui si chiede di fare il giusto, niente di più. Un piccolo passo nella giusta direzione. Salari dignitosi, pensioni decenti, salute, meno morti sul lavoro…
É tanto? É poco? Per milioni di italiani è tutto! Se non volete accontentarli provate almeno a rispettarli. Cosa volete che importi a Salvini dei disagi dei pendolari. Non è questo il peccato dei sindacati. Giorgia Meloni parla di un provvedimento tecnico ma quella precettazione è l’atto politico ritorsivo di chi non accetta rilievi al proprio operato. Tutto quello che è stato detto prima e dopo lo sciopero é inteso a delegittimare le critiche e i loro autori, accusati di intendimenti che nulla hanno a che vedere con le rivendicazioni.
Ludici e sovversivi al tempo stesso. Uno schifo.
Quale altro modo hanno i lavoratori per manifestare il loro disagio? Tutti gli scioperi che interpellano i governi hanno un contenuto politico. I sindacati stessi sono un soggetto politico. Scomodo per chi vuole disintermediare il rapporto con il popolo. E proprio questo probabilmente è il problema. Che ha radici antiche di avversione e di repressione antisindacale e sopravvive nelle pulsioni autoritarie degli eredi di quella stagione. «La triplice», veniva apostrofata così l’unione dei tre sindacati confederali. É cambiato il rapporto fra di loro ma non il sentimento della destra nei loro confronti. L’Argentina è più vicina.