IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Non bianco

Guido Tampieri - Da dove cominciamo? A raccontare di una storia che va a morire, carne, ossa, pensieri, progetti, sogni anche, illusioni forse, cose buone e meno buone, non solo bieche come lascia intendere Concita de Gregorio in vena di astiosità; e di un’altra che sta nascendo, fra aspettative e timori, indefinita in tutto se non nel sentimento che l’ispira. Ha vinto Elly Schlein e forse non è la cosa peggiore. Un risultato prevedibile in cui si mischiano frustrazione e speranza. Per comprenderne appieno il significato bisogna capire chi ha votato, perché è andato a votare e per che cosa. Rifuggendo l’enfasi sulla sinistra che rialza la testa, i giovani che tornano, ecc. ecc.
L’abbiamo detto ogni volta in questi vent’anni di frenetico ricorso ai gazebo e siamo arrivati dove siamo. Un milione e più di persone che si sono recate alle urne sono un segnale incoraggiante il cui rilievo va valutato all’interno di una crisi di consenso che dopo le primarie è ancora uguale a quello che c’era prima. Se quell’afflusso rappresenti il sussulto orgoglioso di un partito bistrattato oltre i suoi demeriti o non piuttosto l’espressione di un interesse rinnovato, il campione di un universo disperso alla ricerca di nuovi punti di riferimento non è dato sapere. La vera sfida, più che tenere unito quel che c’è, è tornare a rappresentare chi non c’è. Ultimi, penultimi e altro ancora, che un progetto politico deve abbracciare l’intera società, unirla e non dividerla più di quanto già non sia. Anche quella delle ztl.
È presto per dire se Elly Schlein sarà l’antidoto al declino. L’avvocatessa Falcone, da sempre avversa al Pd, ha detto che avrebbe votato Schlein perché è più intelligente. Deve conoscerla da vicino. Nessuno dagli scampoli televisivi, può sapere quanto valga la neo Segretaria. Metà degli elettori, rileva Demopolis, hanno seguito distrattamente queste primarie. Gli operai sulla ciminiera nel Sulcis probabilmente nemmeno quello. E non è detto che basti questa impresa, perché poi per governare devi trovare qualcuno che si allei con te.
La destra è un’entità in sé conclusa, moderati e reazionari assieme, la sinistra fatica in genere di più a contrarre matrimoni e a renderli stabili. Non ha mai avuto maggioranze parlamentari solide, nemmeno quando, con Prodi, a votare alle primarie ci andavano quattro milioni di simpatizzanti. Berlinguer, che era Berlinguer e poteva contare su una generazione di giovani in buona misura orientata a sinistra, non riuscì a portare il Pci al governo. Il referendum sulla scala mobile, che ha segnato un’epoca, lo vinse Craxi e al segretario del Pci non bastò andare ( allora un leader della sinistra aveva il credito per farlo) fra gli operai davanti ai cancelli della Fiat.
Il problema non era che i due non si piacessero e nemmeno la questione morale, credo, ma che avevano idee divergenti e non fecero molto per avvicinarle. Quando per stare assieme servono convergenze. Che si costruiscono con una iniziativa politica attenta a queste esigenze e non con accordi dell’ultima ora per opporsi a questo o a quella, che non valgono l’inchiostro della firma apposta su un pezzo di carta. Destinati come sono, invariabilmente, a implodere. È storia. Calenda è un po’ strampalato e cojonabile, ma i suoi rilievi al riguardo non sono peregrini.
Le alleanze non sono una questione da dirimere adesso, il Pd non si deve ridefinire in relazione ad esse, ché il riferimento devono essere i bisogni del Paese interpretati secondo i propri valori. Quella che però non può mancare in alcun momento è una visione panoramica che guarda avanti e attorno. Le alleanze di domani sono quelle che una politica avveduta prepara oggi.
Mentre scrivo ascolto in tv l’on. Furfaro, emergente collaboratore della Schlein, e mi confermo nel timore che, archiviata la sofferta esperienza della vocazione maggioritaria, riemerga a sinistra una mai sopita vocazione minoritaria. Che non ha niente a che vedere con l’estremismo di cui blatera Renzi. E men che meno con la radicalità, se significa determinazione, chiarezza delle posizioni che rimuove le ambiguità. Ma piuttosto con quella vecchia vignetta di Altan in cui Cipputi dice: «Bei tempi, loro a rubare e intrallazzare e noi a gridare ladri e intrallazzatori».
La sinistra non è mai stata una, anche se sentire ancora parlare di anime fa impressione. Specie quando a farlo sono anime morte. A salutare l’apertura delle finestre del Pd verso il mondo esterno sono politici che avevano sbarrato anche le porte d’ingresso. Prima dell’eresia renziana. Che non è stata frutto del caso, che ha aggravato il malessere, ma non ne è all’origine. Questo Congresso che doveva produrre un confronto fecondo di idee si è risolto ancora una volta in una conta che non scioglie i nodi identitari del Pd. Il voto si è diviso non fra due modi diversi di pensare il futuro ma fra due differenti letture del passato. Accomunate nel disegno di marcare una discontinuità dalla storia recente del Pd. L’una critica nei confronti degli uomini e dei metodi, l’altra sovversiva anche delle scelte politiche e in primo luogo dell’esperienza dei Governi di responsabilità. Quasi che l’emergenza fosse stata un’invenzione di Napolitano e Mattarella.
C’è sempre un momento, scrive José Saramago, nel quale non puoi far altro che rischiare. E così è stato. Non stupitevi se dico che ora il Pd dovrebbe avviare la riflessione che non ha avuto il coraggio di fare. Solo così, nella chiarezza, si cementa la fiducia. L’unità non si trova all’inizio di questo viaggio ma al termine di un percorso di confronto se non fraterno almeno onesto. Senza un passato di cui andare orgogliosi, con una Segretaria che non rispecchia l’orientamento della maggioranza degli iscritti, cinquecentomila persone, che sono un’entità rispettabile ma non sono «il popolo Dem», hanno dato il soffio vitale non a una ripartenza ma a qualcosa di nuovo.
Di cui, oltre al volto sorridente di Elly Schlein (in bocca al lupo!) non sappiamo quasi niente. Se non che sarà «non bianco» che, sostiene Bobbio «non dice nulla perché infinite sono le possibilità da esso racchiuse». Cosa ci riservi il domani lo saprà chi vivrà.