Rischio amianto al Petrolchimico, il procuratore Mancini. "Molto meno grave del previsto"

«La situazione è meno grave di quanto prospettato, anche se in questi casi il condizionale è d'obbligo». E' questa l'impressione emersa dal sopralluogo effettuato lo scorso 29 novembre dal Procuratore capo Alessandro Mancini nell'area dell'Eni in Baiona, nell'ambito di un'inchiesta partita dal processo al Petrolchimico. L'indagine è scattata a seguito delle dichiarazioni rilasciate da un ex lavoratore che, durante un'udienza, ha sostenuto che in Pialassa veniva gettato di tutto. Il procedimento contro ignoti, con l'ipotesi di reato di disastro ambientale, è stato assegnato al pubblico ministero Monica Gargiulo, titolare del fascicolo del processo, e co-assegnato al pubblico ministero Lucrezia Ciriello, entrambe presenti al sopralluogo con il Procuratore capo.
Qual è, ad oggi, la situazione?
«Abbiamo ipotizzato il delitto di disastro ambientale, ma si tratta di mera ipotesi di reato, perchè dai primi accertamenti la situazione potrebbe essere meno grave di quanto prospettato. Sul luogo abbiamo recuperato materiali inerti che però contenevano frammenti di eternit, anche se occorre ricordare che all'epoca questo minerale non era ritenuto pericoloso. Negli anni Arpa ha eseguito accertamenti e carotaggi su parte di queste aree, e continuerà anche prossimamente. Mentre prima si trattava di accertamenti di routine, ora verranno eseguiti in ambito investigativo. Non si tratta di un fenomeno di dimensioni estese, ma il condizionale in casi come questo è d'obbligo».
Cosa ha rivelato il sopralluogo?
«La finalità del sopralluogo era quella di individuare con maggiore precisione aree interessate dal presunto sversamento. In questo siamo stati aiutati dalla buona approssimazioni di rilievi fotografici della zona che, tra gli anni '80 e '90, presentava una fisionomia diversa. All'epoca non c'erano gli stabili presenti oggi e nel tempo sono cambiate anche le proprietà di queste aree, con conseguente modifica dei confini. Ora sappiamo esattamente quali sono. In tutto si tratta di una decina di ettari».
Lei è ravennate e conosce la realtà dell'Anic. Da zona di pescatori e contadini Ravenna è diventata la culla di un poderoso insediamento petrolchimico moderno, ma il prezzo forse è stato troppo alto...
«Dare giudizi 'ex post' è sempre sbagliato e può dare una errata lettura del contesto. A partire dagli anni '60 l'Anic contribuì allo sviluppo della città in modo importante, garantendo anche occupazione. Certo si trattava di un tipo di attività che andava vigilata, ma all'epoca non si sapeva nulla riguardo la pericolosità di questi materiali. Soprattutto per quanto concerne l'amianto, si è potuto investigare solo da un certo periodo in avanti».
A distanza di oltre quarant'anni, cosa è cambiato in materia di sicurezza?
«L'approccio è molto positivo e può contare sulla piena disponibilità di funzionari e dirigenti della società che esercitano un controllo assiduo e adeguato rispetto a dinamiche produttivo-industriali che possono determinare problemi per la salute. In proposito, la Medicina del lavoro è attenta e vigile e altrettanto lo è la Procura. Inoltre possiamo contare su tempi rapidi nell'individuazione di profili di responsabilità». (Federica Ferruzzi)