Il fascino dell'Alberghiero: le testimonianze degli istituti di Cervia e Riolo

Ravenna | 04 Aprile 2014 Cronaca
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Nonostante la cultura umanistica continui a guidare le scelte agli istituti superiori della provincia, gli istituti abergheri non perdono il proprio appeal. Chi pensa che l'alberghiero sia una passeggiata si sbaglia di grosso. A differenza dei licei classici e scientifici, ad esempio, all'istituto di Cervia esiste una sorta di numero chiuso. «Per fare fronte alle troppe richieste che si presentano ogni anno - racconta Anella di Santi, insegnante nell'istituto della città del sale - il nostro consiglio di istituto ha posto rigide regole in entrata. Dalle medie si accede solo con la media del 7 e per essere inseriti in lista di attesa occorre risiedere a Ravenna, oppure a Forlì o Cesena». Banditi gli aspiranti studenti riminesi, che già nella loro provincia possono trovare un istituto omologo. «Ad oggi registriamo 981 iscritti, in prevalenza maschi. Nei primi due anni il percorso di studi è comune, poi una volta arrivati in terza i ragazzi scelgono il settore che prediligono. La maggior parte degli studenti si orienta su cucina e sala bar, mentre non sono molti quelli che scelgono di fare ricevimento. Questa specialità si identifica con la formazione del direttore d'albergo, ma non è per forza così, perchè esistono tante altre figure a cui magari non si pensa». Oltre alle lezioni, dove si apprende sul campo cosa significhi fare un soufflè o tagliare una cipolla, i ragazzi hanno la possibilità di sperimentare il lavoro sul campo grazie a stage nel territorio e non solo. «A maggio partirà uno stage all'estero per tre ragazzi dell'istituto. Abbiamo inoltre gemellaggi con Aalen e collaborazioni con l'istituto alberghiero di Praga, e non mancano opportunità sul territorio». Molti degli alunni sono infatti figli di albergatori o ristoratori della zona, che spesso danno suggerimenti alla scuola per avere, un domani, chef davvero spendibili grazie a competenze specifiche. «Da quest'anno – spiega infatti l'insegnante – su richiesta degli operatori abbiamo inserito il settore della pasticceria». E se c'è chi compie la scelta di studiare tra i fornelli a causa del bombardamento mediatico che impone un programma di cucina in tutte le reti televisive, durante il percorso di studi ha modo di appassionarsi. «Capita spesso che chi viene lo faccia spinto dalla visibilità degli chef televisivi, ma poi col tempo la passione per questo lavoro emerge. La scuola organizza visite guidate in cantine per sperimentare sul campo i prodotti, oppure organizza attività didattiche e collaborazioni con ristoranti». In linea con il trend nazionale, all'alberghiero di Forlimpopoli non si fermano le richieste. A spiegarlo è Giorgio Brunet, dirigente scolastico dell'istituto intitolato a Pellegrino Artusi, padre della cucina italiana. «Quest'anno abbiamo registrato un incremento notevole, pari al 22% rispetto all'anno scorso. Così come avviene ormai da quattro anni - precisa Brunet - abbiamo contato una cinquantina di nuovi iscritti. E lo stesso accade negli altri istituti alberghieri della Romagna». Solo qui, infatti, si concentra metà delle scuole della regione dedicate alla cucina. Complici dell'aumento delle iscrizioni i tanti programmi a tema, ma non solo. «La riforma ha semplificato l'iter scolastico, sospendendo il blocco previsto al terzo anno di studi. Oggi quell'esame di qualifica è diventato opzionale, non più obbligatorio. Questo però non toglie che il percorso sia duro e impegnativo. E' vero che tanti ragazzi sono attratti da quello che vedono in televisione e dalla crescita esponenziale di programmi dedicati alla cucina, ma poi si rendono conto che questo mestiere non è facile come può apparire. Sia d'estate che d'inverno si lavora al caldo, si trascorrono molte ore in piedi, c'è sempre “da pedalare”. Solitamente l'approccio degli studenti è istintivo, con poche cognizioni di causa, e la passione arriva dopo». Ma qual è l'indirizzo che fa maggiore gola ai ragazzi? «La maggior parte degli studenti, circa un 80%, viene per fare cucina, il resto si divide tra sala e accoglienza turistica. Il cappello del cuoco continua ad esercitare fascino, ma è indubbio che, rispetto a loro, lavorino di più altre figure. Basti pensare che un ristorante con quattro chef fa lavorare dai 20 ai 25 maitre». Per chi porta a termine gli studi le soddisfazioni sono molte, come dimostra la carriera di chi si è diplomato all'istituto di Forlimpopoli. «C'è chi lavora nei ristoranti stellati del territorio e chi invece ha scelto di spostarsi, ad esempio in Spagna o New York». «Proprio ieri sera - racconta Gabriele Calderoni, insegnante di cucina da 27 anni - sono andato a trovare un mio ex alunno che possiede due ristoranti a forlì, mentre un altro allievo ha trovato fortuna in Spagna, dove ha aperto 14 ristoranti che danno lavoro ad 87 dipendenti».
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