Giulio Cavalli a Conselice sabato 22

Bassa Romagna | 22 Febbraio 2014 Cultura
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Si chiama «Nomi, cognomi e infami» lo spettacolo di e con Giulio Cavalli al Teatro comunale di Conselice sabato 22 febbraio alle ore 21. Lo spettacolo (che è anche un libro) di Giulio Cavalli,  ripercorre i troppi anni bui della nostra Repubblica. La parola fa paura, sia essa una narrazione o un testo teatrale è un’arma più potente di cento pallottole, colpisce  senza spargere sangue, è in grado di mettere assieme fatti, persone e situazioni ma, soprattutto, fa pensare. Un peccato imperdonabile per la mafia che, infatti, ha costretto Cavalli a condurre una vita sotto scorta. «Nomi, cognomi e infami» è il diario impersonale di un anno di storie incrociate in una tournée che è scesa dal palco per diventare la sua storia: quella di un attore di teatro che vive sotto scorta da due anni. È un viaggio nel tempo e nello spazio che accompagna il lettore dall’attentato di via D’Amelio al sorriso di Bruno Caccia, dalle parole di Pippo Fava all’omicidio di don Peppe Diana passando attraverso il coraggio di Peppino Impastato, Rosario Crocetta e i ragazzi di Addiopizzo, fino a svelare la presenza della mafia al Nord che l’autore è stato tra i primi a denunciare. È anche una storia corale dedicata alle 670 persone che oggi nel nostro Paese vivono sotto tutela. È una rivoluzione morbida contro coloro che, abituati a comprarsi giudici, onorevoli, senatori, funzionari, sindaci, imprenditori, giornalisti, sanno bene che nulla possono contro la parola, quel mitra senza proiettili che instilla germi; germi di consapevolezza, germi di coscienza, germi di libertà. È una ninna nanna recitata per tenerci tutti svegli, mentre urliamo che disonorarli, comunque, è una questione d’onore.  E’ bravo Cavalli nel ricostruire non solo le vicende di Cosa Nostra, ma anche di ‘‘ndrangheta e camorra, di legami occulti solo per chi non vuole vedere. Tocca le corde, pur mantenendo un tocco lieve, quando parla di Lea Garofalo, uccisa e fatta sparire nel cuore della Brianza, patria di un’entità geografica inventata come la Padania. Tremano i polsi quando racconta della figlia, Denise Garofalo, che si toglie di dosso anche il nome paterno per essere la pelle, la carne e la lotta di sua madre; Denise e la sua giovinezza uccisa, costretta a nascondersi per salvarsi la vita, il bene più prezioso. Commuove ancora Cavalli, quando si rivolge al figlio, in una fiaba ideale, per spiegargli tutta l’umanità di un sentimento naturale come la paura per la propria incolumità e, ciononostante, resistere. Caparbiamente continuare a denunciare e a informare. Senza sconti. Anche quando si arriva all’ardire di piazzare una rivoltella carica sotto la finestra della sua abitazione e della sua vita scortata. Segnali davanti a cui non indietreggia, nonostante la paura.
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