Elezioni amministrative, "anatomia di un v(u)oto", l'opinione di Guido Tampieri

10 Giugno 2016 Blog Settesere
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Bisogna ammettere che degli ostacoli ci sono: la costanza nella stupidità, l'ignavia organizzata, l'ottusità aggressiva e così via.
Albert Camus
 
La prima indicazione di questa giornata elettorale è una conferma. Prevista, temuta da chiunque abbia a cuore la nostra democrazia. Ignorata dai partiti, cui importa una cosa sola: vincere. Anche se questo non vuol dire rappresentare. Il costo democratico di sindaci che non sono di tutti e nemmeno più riferimento di aree politiche dilaniate dalle divisioni e rarefatte dalle defezioni, è incalcolabile.
La gente diserta le urne. Il richiamo al voto come dovere civico si infrange contro l'insignificanza della scelta, che soffoca il sentimento e turba la ragione. Date ai cittadini candidati e pensieri degni e li vedrete tornare. Riconciliati.
Non c'è altro antidoto alla sfiducia che corrode le democrazie dell'occidente. È questa la funzione più preziosa dei partiti, che ne motiva l'esistenza e li rende indispensabili alla democrazia. La cultura politica di un popolo non è un dato immutabile.
Quella che abbiamo conosciuto nella seconda metà del secolo scorso, dopo l'avventura fascista, è maturata grazie all'azione dei partiti, che l'hanno innestata su una cultura popolare da sempre sospettosa verso il potere, diseducata alle responsabilità civili, incline alla delega e alla cura del proprio particulare.
Lo sfarinamento dei partiti, della loro organizzazione e soprattutto della loro identità culturale, che non è quella statica di un passato più o meno recente ma la capacità di interrogare la realtà è di ridefinirsi   assieme ad essa, ha insabbiato i canali di comunicazione con le istituzioni che una Costituzione lungimirante aveva disegnato.
L'idea di cittadinanza attiva che la permea è un progetto civile, un cantiere aperto. Senza muratori chiude. Dove il premier pensi di trovare le forze per un porta a porta referendario, dopo che il Pd ha allentato ogni legame, anche emozionale, con la comunità dei cittadini, è un mistero. Renzi esorta i militanti del suo partito a esserne orgogliosi. Dovrebbe spiegare perché ne ha ammainato il simbolo in quasi tutti i comuni in cui si è votato. Che l'Ulivo e il Pd avevano conquistato a volto scoperto. Si può capire Roma, dove era necessario velare le brutture, ma altrove, nelle realtà di buon governo, perché? Perché concedere spazio al corrosivo luogo comune che vuole i partiti, tutti, irrimediabilmente uguali?
Con candidati impegnati a prendere le distanze da quel che c'era, a giustificarsi di quel che c'è. Senza più filtri, soli. Impietosamente esposti al giudizio sulle loro pallide virtù. Perché non ci sono più rappresentanti dal volto umano? Come il sindaco di Lampedusa. Di quelle persone che senti tue, vicine. Che ascolti e dici: questa la voto! Che parlano il linguaggio simbolico e contenutistico delle forze di progresso. Che solleticano l'intelligenza, stimolano la sensibilità, coinvolgono nella ricerca, mobilitano nell'azione. Siamo tutti per il cambiamento, una volta che si capisca cosa vuol dire. Anche l'energia va bene, va a merito di Renzi aver spinto il Paese a lasciarsi alle spalle l'idea di uno sprofondamento senza ritorno.
Ma detta così, senza un'anima, rischia di somigliare alla pubblicità dell'Enel.
Il 73% di liste civiche, il grano assieme al loglio, il trasformismo elevato a sistema, spacciato per superamento degli steccati, per modernità. Entità politiche senza una storia comune, senza un futuro comune. Marchini con Mussolini. Parisi con La Russa. Fassina da solo, per sempre, come una particella di sodio nell'acqua Lete. Oggi sappiamo meglio chi è Renzi. Al fascino dell'indistinto si sono sovrapposte parole e azioni che ne hanno delineato il profilo controverso. Nessuno, invece, potrebbe dire cosa sia il Pd. Non è il partito della nazione? Bene.
Allora cos'è? Il Pd di Torino che chiede voti alla sua sinistra é lo stesso che accoglie i consensi maleodoranti di Ala a Napoli? Vincere per governare, diceva il Renzi di prima, non a tutti i costi. Che accade quando non si vince in nessun modo? Quando il carisma del comandante in capo non protegge più. Quando la Moretti è solamente la Moretti, e così il sindaco di Bologna, e la candidata di Napoli. Quale sia il consenso personale di Renzi dopo due anni di governo lo sapremo presto. Intanto c'è il partito nato per reggere la democrazia in Italia da trasformare: da aggregato di percorsi personali a comunità politica strutturata e aperta.
Il segretario ha un bel dire che questo voto non è così importante. Che l'appuntamento decisivo è quello di ottobre. I risultati dicono che il rapporto col Paese è cambiato. E che la sua azione di governo non è estranea al risultato di partito. Nei giorni del dubbio vengono alla mente le emozioni del primo voto, la trepidazione, l'orgoglio, la speranza, la fiducia, l'identificazione in un progetto, in una comunità di persone, nei valori umani e civili dei suoi rappresentanti. Era un tempo, avrebbe scritto Bertrand Russell, «nel quale era possibile essere, insieme, intelligenti e felici, felici proprio per mezzo dell'intelligenza».
Ricordi. Malgrado tutto sono andato a votare. E tornerò a farlo domenica. Per quanto tempo ancora non so. L'astensione non è sempre disarmo civile. A volte è un voto, che denuncia un vuoto di rappresentanza. La vera rassegnazione è l'assuefazione a quel che non è bene. Segnalare che il male è male è un dovere. In questo scenario democratico rarefatto emergono due cose. Molti italiani hanno una gran voglia di provare il M5S, accadde già con Berlusconi. Renzi è indebolito, dai propri errori, e perché così vanno le cose nel mondo che non ha più tempo: tutto si consuma in un amen. Ne riparleremo.
 
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