Processo Poggiali, il Pm chiede l'ergastolo con isolamento diurno per un anno e mezzo

Ravenna | 28 Febbraio 2016 Cronaca
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Al termine di una requisitoria, durata poco meno di 5 ore e nella quale sono stati ripercorsi i punti salienti del processo, il Pm Angela Scorza, il 26 febbraio, ha chiesto l'ergastolo con isolamento diurno per un anno e mezzo per l'ex infermiera dell'Umberto I di Lugo, Daniela Poggiali, accusata di aver ucciso la paziente 79enne Rosa Calderoni con un'iniezione di cloruro di potassio. "In casi come questi, in crimonologia, si parlerebbe di un serial killer dominante che, uccidendo, si sente potente. La Poggiali non uccide per pietas, per dar fine alle sofferenze di un malato terminale, ma si compiace nel farlo. Le due foto che la ritraggono sorridente accanto ad un cadavere spiegano il movente del suo operato: scherno della sofferenza altrui e macabro trofeo della propria vittoria alzare i pollici". Secondo Lacan la cifra della perversione si racchiude in due parole 'perchè no?' ed è quello che l'accusa pensa abbia mosso l'operato della Poggiali.
Secondo il Pm una simile persona è in grado di uccidere in qualunque contesto si venga a trovare pertanto "in assenza di una forma continua di contenimento, nessuno può ritenersi sicuro". L'incensuratezza dell'imputata non è stata valutata come motivo sufficiente per le attenuanti visto che non solo ha ucciso una persona inerme sfruttando il suo ruolo professionale, ma che su di lei pende un procedimento per peculato e che i consulenti statistici hanno dimostrato, come, durante i suoi turni nel biennio 2012-2014 siano morte 90 persone in più rispetto all'infermiere con il maggior numero di decessi.  "Poggiali mente su tutto: sul suo rapporto con le colleghe che continuava a prevaricare, motivo per cui la disponibilità che tante volte ha dichiarato di avere nella sostituzione dei turni, non è mai stata sottolineata dalle colleghe come qualcosa di positivo, ma quasi tutte si sono lamentate che 'compariva' in settori non suoi, incuteva timore, somministrava terapie a pazienti non suoi anche senza disposizione medica e quasi tutte la tenevano d'occhio per paura che rubasse. Mente quando dice di non essersi resa conto del picco di decessi lamentato da tutte le colleghe, così come pare non essersene accorto nè il primario nè la caposala. Mente quando dice di aver fatto uscire dalla stanza della Calderoni la figlia per 'tutelare la privacy della paziente', visto che doveva solo cambiare una flebo e soprattutto mente quando dice di non ricordarsi cos'ha fatto in quei 30 minuti intercorsi tra il prelievo di sangue alla paziente per un emogas alle 9,05 dell'8 aprile 2014 effettuato dal dottor Peppi, quando quest'ultimo si accorse che la Calderoni era in coma e l'inserimento della richiesta per l'analisi della provetta a terminale, effettuato dalla Poggiali alle 9,35". Secondo quanto ricostruito dall'accusa la Poggiali, per depistare le indagini, deve aver sostituito l'agocanula attaccato al deflussore  nonchè la provetta di sangue. "Sull'agocanula, parte dei presidi fornitici dal dott. Marco Taglioni ai fini dell'indagine, è stato trovato un dna maschile e nessuna traccia di potassio che invece è stato rilevato nel deflussore. Nemmeno nella provetta di quello che doveva essere il sangue della Calderoni, esaminata dal laboratorio, vi era traccia di potassio". Secondo quanto ricostruito durante il processo la paziente non morì di morte naturale e nell'umor vitreo venne trovata una concentrazione di potassio non fisiologica giustificabile , se non con un'iniezione esogena o con un trauma ad entrambi gli occhi o con un'overdose. E nessuna di queste due ultime ipotesi può essersi verificata. Chi potrebbe allora aver effettuato una somministrazione esogena di potassio alla paziente, si chiede l'accusa, se non l'unica infermiera entrata nella sua stanza quella mattina, l'unica che venne vista dalla figlia che non si allontanò mai dal capezzale della madre?
Per quanto riguarda le parti civili sono state avanzate le seguenti richieste: dagli avvocati Martines e Russo che tutelano rispettivamente Viviano e Manuela Alci, figli della vittima, 500 mila euro per ognuno dei figli per il danno non patrimoniale; dall'avvocato Fussi per l'ordine degli infermieri per il danno d'immagine 180 mila euro e dall'avvocato Scudellari per l'ospedale di Lugo per il danno d'immagine, 600 mila euro.
La settimana prossima ci sarà l'arringa della difesa mentre l'11 marzo la sentenza.
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