Terrorismo a Parigi, il lughese Giorgio Pirazzini: "Tutta la città' e' un obiettivo sensibile"

16 Novembre 2015 Blog Settesere
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Facebook ha una nuova funzione, Mark Safe.  Quando c’è un attentato, Facebook riconosce chi è nei paraggi e domanda se va tutto bene per poi pubblicare automaticamente l’aggiornamento sul muro e tranquillizzare i contatti. Ieri, si sono moltiplicati i messaggi e i like a cascata sotto questi annunci.
Il 2015 è un anno duro per la Francia, cominciato con l’attentato a Charlie Hebdo in gennaio, un decapitato in giugno e poi il fallito attentato al treno Thalys, con modalità simili: un ragazzo di meno di trent’anni che suda per la tensione, un fucile d’assalto nella borsa e un luogo a caso, purché affollato e privo di vie di fuga.
Ma oggi sembra diverso da #JeSuisCharlie. Charlie Hebdo era quello che viene definito un bersaglio sensibile, un eufemismo per dire che la redazione era sotto tiro dopo la pubblicazione delle vignette satiriche di Maometto. La catalogazione degli obiettivi sensibili è una lista di simboli, sono messaggi nelle pallottole da recapitare all’odiato di turno: i grandi monumenti, i centri commerciali, i palazzi governativi, gli avvenimenti sportivi, le comunità religiose e culturali, luoghi piantonati giorno e notte (io stesso mi sono accorto dell’esistenza di una scuola ebraica nel mio quartiere soltanto quando un giorno è comparsa una camionetta della polizia a stazionarvi davanti).
C’era di tutto in quella lista, ed era impossibile stare lontani da tutti gli obiettivi sensibili, ma almeno raggrupparli in categorie dava la sensazione di controllare il fenomeno, una possibilità di schivare la tragedia.
Oggi quella classificazione è saltata in aria - con le cinture esplosive dei kamikaze. A guardare i luoghi teatro degli assalti la nuova classificazione è: bar o ristorante con terrazza, musica e alta densità di essere umani, possibilmente giovani. Praticamente tutta Parigi, tutto il mondo.
Non so quanto fossero simbolici per gli altri parigini i luoghi scelti, ma per me lo erano, o almeno ho ricordi in ognuno di loro. Nel ristorante La Belle Equipe un bambino veniva a guardare l’astice intero che avevo nel piatto e lo indicava alla madre, al Petit Cambodge ho cenato con mia moglie di ritorno dalla Cambogia per la sensazione di prolungare la vacanza, al Bataclan ho ballato con gli Editors.
L’ampiezza e l’organizzazione degli assalti sono anche più disturbanti: simultaneità di attacco e otto fanatici disposti a morire - prima ancora di uccidere. I martiri non sono una categoria di persone così facili da procurarsi, vederne una disponibilità così alta mescolati fra noi mette ancora più ansia, dopo i quattro di Beirut la settimana scorsa e tutti quelli che li hanno preceduti. E una notte sono i parigini a svegliarsi a Beirut, e le autobombe diventano più vicine.
Geograficamente gli attacchi sono stati quasi tutti concentrati nell’est di Parigi, in una zona sufficientemente delimitata, e non mi è sembrato che i giornalisti abbiano approfondito l’argomento. Forse sono i luoghi in cui i terroristi si sentono più a loro agio o che conoscono meglio? Forse sono semplicemente i luoghi più facili, meglio raggiungibili e molto popolati.
Ma Parigi tutta è ormai un obiettivo sensibile, tutti i luoghi, è sufficiente che ci sia gente. E stavolta la città non ne uscirà più o meno bene come dopo Charlie Hebdo. Gli sguardi nelle strade resteranno vigili più a lungo, la gente nelle terrazze presterà più attenzione alle valigie dei turisti e chi passeggia lo farà con le orecchie tese. I petardi non saranno più il primo pensiero quando si sente un botto.
 
Parigi, 14 Novembre 2015

(una foto del decimo arrondissement verso le 23 di ieri notte, poco dopo gli attentati)

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