Sanità, il dottor Stefano Falcinelli va in pensione e traccia un bilancio di 41 anni di servizio

Romagna | 02 Marzo 2024 Cronaca
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«Ho iniziato questo lavoro quando ancora Citrosodina ed Amaro Giuliani si prescrivevano e lascio dopo 41 anni davvero contento di essere stato medico di famiglia». Per il dott. Stefano Falcinelli, in pensione dal 29 febbraio scorso, quella di medico non è stata una professione, ma un modo di vivere per questo sottolinea di “essere stato” e non di “aver fatto” il medico di famiglia. Ha lasciato l’ambulatorio ad un giovane collega, ma è rimasto presidente dell’Ordine dei medici, chirurghi ed odontoiatri di Ravenna, carica riconfermata 4 anni fa. Stimato da colleghi e pazienti, questi ultimi rammaricati per la perdita del loro dottore, ci ha tracciato un bilancio di quarant’anni di lavoro nella Sanità, settore profondamente mutato nel tempo «In 41 anni ho visto tante cose: ho vissuto intensamente il passaggio dal medico della mutua che aveva perso un po’ di dignità professionale al medico di famiglia che segue da vicino il paziente e lo ascolta, non è un mero compilatore di ricette. Ultimamente stiamo assistendo ad un peggioramento di tutto questo: si assiste ad una legittima domanda di salute che diventa domanda di servizi sanitari e al medico non viene più posto un problema, ma gli si richiede di accedere ad accertamenti, quasi si tornasse indietro, alla figura del medico della mutua. La burocrazia, poi, è diventata davvero tanta, troppa, inutile il più delle volte e toglie tempo, disponibilità e risorse al medico. Nonostante tutto, però, sono ottimista sul futuro del mio comparto perché credo nella medicina di associazione, nel confronto tra colleghi, nella possibilità, per gli studi, di poter contare su una piccola dotazione tecnologica per poter seguire meglio il paziente cronico, ma anche gli accessi non programmati anche al domicilio, con il supporto degli infermieri. Il rapporto con il paziente è il valore aggiunto e fondamentale della medicina». La maggior parte dei medici di famiglia che vanno in pensione non viene sostituita e in provincia c'è anche chi è costretto ad affidarsi ad un professionista che opera in una località diversa dalla residenza. Come bisognerebbe intervenire secondo lei? «Per i medici di famiglia, purtroppo, c’è poco da fare. Questa situazione è frutto di una politica sbagliata di programmazione sanitaria, l’Ordine da anni lanciava l’allarme, ma non è stato fatto nulla. Oggi siamo in emergenza e possiamo mettere in campo solo soluzioni “tampone” per arginare il problema: aumentare il massimale di alcuni medici di base, inserire in attività i medici anche prima della fine del tirocinio obbligatorio di 3 anni ed utilizzare la medicina in associazione per garantire una migliore disponibilità di accesso agli utenti». La carenza di risorse umane rende difficile il lavoro di tutti i giorni nei reparti e nei servizi ospedalieri della provincia. Crede che l’attivazione di percorsi integrati tra pubblico e privato accreditato potrebbe consentire di reperire le risorse umane necessarie per garantire l’emergenza-urgenza in condizioni di lavoro più accettabili rispetto alle attuali? «Certo, è una delle soluzioni che possono essere messe in campo: il privato accreditato potrebbe riuscire a dare risposte e supportare ciò che il pubblico non riesce a fare. D'altra parte, la sanità privata svolge un ruolo importante nell'integrazione dei servizi sanitari offerti dal settore pubblico. Le strutture sanitarie private possono offrire vantaggi come maggiore flessibilità nelle scelte del medico, tempi di attesa ridotti e servizi di alta qualità». Secondo l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, nonostante le enormi criticità che si stanno affrontando e le sfide che abbiamo davanti, quello dell’Emilia-Romagna continua ad essere un sistema sanitario di grande qualità, riferimento a livello nazionale. Crede che la riorganizzazione delle cure primarie territoriali e del sistema di emergenza-urgenza regionale con i CAU possa dare una risposta adeguata alla cittadinanza e sgravare il lavoro dei pronto soccorso? «Continuo a credere che la soluzione migliore sia la medicina di associazione, e che anche i Cau siano una soluzione tampone all’emergenza. La risposta alle urgenze minori può essere data dalle medicine in associazione dotate di piccola tecnologia, in grado di risolvere i problemi meno gravi, effettuare un piccolo esame di laboratorio o un elettrocardiogramma in ambulatorio. Quella della nostra regione è una sanità ancora migliore di tante altre in Italia, ma una delle cose che non dobbiamo perdere è la capillarità degli studi sul territorio e la capillarità della riposta. Non è accettabile che un paziente debba andare in una frazione dove non risiede per essere visitato dal medico di famiglia. La nostra risposta è ancora buona, ma dobbiamo ricordare che il cittadino non confronta la sanità del ravennate con quella della Calabria, ad esempio. La paragona a quella della nostra provincia di dieci, o quindici anni fa e riscontra qualche segnale di peggioramento. Con il Covid abbiamo passato uno dei periodi più critici della storia, le liste di attesa si sono allungate e non ci siamo ancora rimessi in pari. Il lavoro è ancora tanto». Che consiglio si sentirebbe di dare ad un giovane che vuole intraprendere la carriera di medico? «”Ascoltali, guardali negli occhi e visitali”. La medicina digitale è importante, ma altro non deve essere che un supporto ad una figura, quella del medico di famiglia che deve “prendersi cura” del paziente». (Marianna Carnoli)
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