Faenza, la protesta dei Trattori: «Chiediamo reddito equo nella filiera agricola»

«Vogliamo ottenere visibilità per la nostra protesta ma non creare disagio alla popolazione, per questo ci siamo mantenuti comunque fuori dalle vie centrali di Faenza. I cittadini sono con noi, ci sentiamo compresi da loro, sanno che siamo noi i fornitori del cibo sano che consumano ogni giorno. Chiediamo solo un mercato equo e i giusti compensi per il nostro lavoro e la materia prima». Fabiano Mazzotti, di Prada, è il coordinatore dell’area faentina e di quella di Castel San Pietro del Comitato spontaneo degli agricoltori dell’Emilia-Romagna, un gruppo di agricoltori che sta portando avanti la «protesta dei trattori» anche oltre le iniziative di «Riscatto agricolo», che da settimane stanno alimentando il dibattito politico, non solo italiano.
«Da domenica 11 abbiamo allestito un presidio vicino al casello autostradale di Faenza - spiega Mazzotti -. Condividiamo tante rivendicazioni di “Riscatto agricolo” ma non vogliamo cedere ai primi contentini. Il corteo, autorizzato, ci ha permesso di sfilare su via San Silvestro fino alla via Granarolo, per far conoscere le nostre battaglie».
Sul regolamento sui fitofarmaci l’Unione Europea ha fatto marcia indietro. Voi però andate avanti.
«Sì, perché per il momento ci sono solo promesse, vogliamo vedere le cose nero su bianco. Sicuramente dall’inizio della protesta, che è di scala europea, dalla Ue abbiamo notato un livello di attenzione diverso, e questo è certamente positivo, ma non basta. Il problema principale non è nuovo ma sta diventando intollerabile; parlo di un’equa distribuzione del reddito all’interno della filiera agricola».
C’è chi vi accusa tirando in ballo le sovvenzioni europee, che dovrebbero compensare la penalizzazione nella catena dei rincari, della quale siete il primo anello…
«Chi tira in ballo le sovvenzioni europee dovrebbe tenere conto che, al netto dei drenaggi burocratici, ne incassiamo per davvero la metà o poco più. Quello che vogliamo è semplicemente riappropriarci della nostra dignità di lavoratori e cittadini che pagano le tasse. Il punto non sta nelle agevolazioni ma nella possibilità di fare reddito, che è sempre più difficile alle attuali condizioni di mercato. Un’azienda deve fare reddito anche per poter investire, i sussidi non sono un sistema lungimirante. I prezzi sono troppo diversi dal primo all’ultimo anello della filiera».
Non è un tema nuovo. Ma come si interviene sulla differenza di prezzo tra la vostra vendita e quello che pagano i cittadini al supermercato?
«Per dare la misura del problema partirei col dire che una susina che io vendo a 40-50 centesimi al chilo poi al supermercato posso trovarmela tranquillamente a 2-3 euro. In Italia abbiamo un istituto ministeriale, l’Ismea, che può certificare i costi di produzione. Ci può insomma essere una vigilanza sui rincari e i sottocosti, ma serve la volontà di monitorare il mercato, di applicare regole chiare».

(prosegue su Settesere in edicola da venerdì 16)