Viaggio negli shock musicali del ravennate, da Stockhausen a Cage coi canterini romagnoli

Romagna | 20 Novembre 2022 Cultura
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Federico Savini
Qualche mese fa, in occasione del Jova Beach Party, rispolverammo i ricordi dei concerti più grandi ospitati nella nostra provincia negli scorsi decenni. Questa settimana, vista la concomitanza del concerto in memoria di Roberto Masotti e  delle Transmissions del Bronson, proviamo a fare un viaggio – sicuramente opinabile e incompleto - indietro nel tempo per rievocare quei concerti che magari non hanno calamitato folle da stadio, ma hanno segnato la nostra provincia per la presenza di grandi protagonisti della musica d’avanguardia (in qualche caso anche «rock d’avanguardia») in contesti quasi sempre almeno un po’ insoliti. Quelli che fanno epoca anche se magari, lì per lì, in pochi se ne accorgono.
E allora è inevitabile ripartire da un paio di eventi che menzionammo anche qualche mese fa. Vedi il leggendario «Festival nazionale dei giovani» che si tenne all’ippodromo di Ravenna dal 24 luglio al 1° agosto del 1976. In poco più di una settimana suonarono grandi nomi della canzone italiana ma pure protagonisti dell’avanguardia dell’epoca, da Giorgio Gaslini agli Area (entrambi il primo giorno, prima di Lucio Dalla!), e poi i giganti del free-jazz americano Cecil Taylor e Don Cherry, insieme all’italiano Mario Schiano, e c’erano anche Severino Gazzelloni e Steve Lacy, Un roster che rimanda ai tempi d’oro di Ravenna Jazz. Nato nel 1974 (con Charles Mingus ospite principale, che tornò anche l’anno dopo; e su YouTube trovate la registrazione del concerto del ’74 alla Rocca Brancaleone), nel 1976 il festival ospitò Archie Sheep, Lee Konitz, Sam Rivers e Sun Ra. Pharoah Sanders si esibì nel ‘79, mentre l’anno dopo sfilarono cinque batteristi capitali della storia del jazz come Roy Haynes, Billy Higgins, Art Blakey, Kenny Clarke e Max Roach. Nell’81 tornò Archie Shepp (limitandosi agli «avanguardisti», perché quell’anno suonarono anche Stan Getz e Dexter Gordon...), nell’82 Roswell Rudd, Don Cherry, George Russell, Sam Rivers con Han Bennink e di nuovo Sun Ra, con un tripudio nell’83, quando si esibirono Art Ensemble Of Chicago, Ornette Coleman, Chick Corea e altri che non citiamo solo per limiti di spazio. Keith Jarrett venne per la prima volta in trio nell’85 (tornerà per il Ravenna Festival nel ‘96), Ornette Coleman tornerà con i Prime Time nell’87, nell’88 si esibirono gli allora giovani Tim Berne e John Zorn, protagonisti dell’avanguardia del tempo, ed è abbastanza inutile proseguire nella carrellata di nomi di un festival davvero glorioso.
Tornando al ‘78, quell’anno rimane piuttosto mitico per l’avanguardia musicale nel nostro territorio soprattutto per l’avventura de «Il Treno di John Cage», tre pazze giornate di giugno durante le quali il rivoluzionario dell’avanguardia del Novecento «sonorizzò» letteralmente un treno lungo tre tratte della nostra regione, che il 27 e 28 giugno toccarono anche Ravenna. Una peripezia guascona e geniale, che portò Cage a contatto persino con i Canterini Romagnoli e che venne documentata con foto magnifiche proprio da Roberto Masotti.
Come dimenticare, poi, nel 1981, «I cinque giorni che sconvolsero Ravenna»? Si trattò di un’iniziativa dell’Arci, curata da Franco Masotti, fratello di Roberto e co-direttore del Ravenna Festival, imperniata sul tour italiano di Glenn Branca, maestro del nuovo minimalismo americano a traino chitarristico, l’uomo che insieme al collega Rhys Chatham (che nel 2008 avrebbe inaugurato, al Bronson, la prima edizione di Transmissions…) ha praticamente inventato il suono della New York underground degli anni ’80, tanto che nella formazione che suonò a Ravenna nell’81 militava anche Lee Ranaldo, futuro fondatore dei Sonic Youth. Quei cinque giorni portarono in provincia anche Roberto Benigni e un’altra leggenda del rock d’avanguardia americano: i  Pere Ubu, che a quanto si racconta suonarono a Villanova di Bagnacavallo…
Tornando alle musiche canonicamente «d’avanguardia» - per usare un’ossimoro... - e alle Transmissions del Bronson, sono tanti i grandi nomi che ci hanno suonato, vedi almeno Blixa Bargeld nel 2009, Keij Haino e Peter Brotzmann nel 2012, Charlemagne Palestine nel 2013, Ghedalia Tazartes nel 2015, Martin Bisi nel 2019.
Quanto al Ravenna Festival, ricordiamo per forza il debutto nel ’90 con Pierre Boulez sul podio, il già citato Keith Jarrett nel ’96, Philip Glass nel 2004, Herbie Hancock con Lang Lang nel 2009, le 100 chitarre elettriche del 2018 e poi i 100Cellos. Uscendo dal seminato puramente musicale, per sconfinare in quello teatrale e coreutico con indiscussi protagonisti dell’avanguardia internazionale, non si possono dimenticare gli spettacoli di Eugenio Barba con l’Odin Teatret a San Giacomo a Russi nel 2006, le undici ore dei Demoni di Peter Stein nel 2010 e su tutti l’incredibile allestimento shakespeariano de La Fura dels Baus al Pala De Andrè nel 2001.
Venendo alla Bassa Romagna, resta nella storia di Lugo l’esibizione che il grande Karlheinz Stockhausen - idiscusso protagonista del Novecento musicale - tenne insieme a due bravissime arpiste al teatro Rossini nel 2006, quando il Lugo Opera Festival collaborava con il bolognese Angelica (dal 2004 al 2014). In quegli anni a Lugo si ricordano anche Mike Patton che proprio al Rossini, nel 2007, diede vita allo splendido progetto di recupero delle canzoni italiane degli anni ’60 «Mondo Cane» (se ne trovano diverse tracce su YouTube), Butch Morris con la sua «conduction» improvvisativa nel 2009 e un altro maestro del Novecento, pioniere del minimalismo come Terry Riley nel 2013. Doveroso infine citare la Lugocontemporanea di John De Leo, Franco Ranieri e Monia Mosconi, che ha sempre puntato su nomi di assoluta attualità e quindi meno «roboanti», mantenendo meritoriamente viva la fiammella della creatività radicale nella nostra provincia, ma coinvolgendo anche gente che ha fatto la Storia come Philip Corner nel 2009, Han Bennink nel 2019, Bill Frisell nel 2021 e Steve Coleman solo qualche mese fa.
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