Vademecum per chi vuole praticare un suggestivo foliage, tra aceri, tigli e faggi in collina e montagna

Romagna | 13 Ottobre 2019 Cronaca
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Sandro Bassi - In pianura e nella bassa collina i colori dell’autunno arriveranno solo a novembre – addirittura dopo il 20 nel caso dei Ginko biloba, alberi tra i più belli in assoluto con il loro giallo vivissimo – ma dalla media collina in su i primi gialli, rossi e bruni compaiono già ad ottobre. Potremmo elencare le specie cromaticamente più rilevanti, oppure i luoghi dove fare le relative escursioni (quelle che i francesi e chi vuol darsi un tono chiamano foliage) e nel dubbio, perché no, facciamo entrambe le cose.
Premesso che entriamo in un campo soggettivo, va comunque detto che non tutti gli alberi assumono i tipici e attraenti colori autunnali. Ad esempio l’ontano nero, la robinia (impropriamente ma comunemente detta, qui in Romagna, «acacia»), e la maggior parte dei salici perdono le foglie passando dal verde al secco senza particolari toni intermedi. E’ poi ovvio che tutte le sempreverdi - conifere e, qui da noi, tasso, leccio e qualche altra specie mediterranea - non assumano tinte autunnali. Va anche precisato che il massimo del cromatismo autunnale si verifica non alle nostre latitudini ma un po’ più a nord e in particolare in Nord America: forti gelate improvvise che distruggono la clorofilla facendo «emergere» gli altri pigmenti e soprattutto un’intrinseca mescolanza di aceri, betulle, Liquidambar e Liriodendron (gli ultimi due da noi presenti solo in parchi cittadini) fanno sì che si ottenga un vero caleidoscopio di colori.
Tuttavia gli aceri li abbiamo anche noi, eccome, e sono i primi a sfoderare i colori. Il più sfacciato è l’Acero opalo (Acer opulifolium) che va dal rosa fino all’arancione, e che è diffuso -, ma sempre sporadicamente, un po’ qua e un po’ là e mai in grandi quantità - nella collina medio-alta, dai 4-500 ai 7-800 m, con occasionali discese più in basso (ad esempio fino ai 300 m nel Parco Carnè e sulla Vena del Gesso in generale) e con qualche punta in particolari angoli riparati più in alto: ad esempio attorno a Campigna sui 900-1000 metri. Ma anche il popolare ôpi, cioè l’acero campestre anticamente utilizzato come reggi-vite, è di grande bellezza con il suo giallo vivo. Non ci sono più le «piantate» dove gli ôpi gialli si mescolavano alle viti brune, ma basta andare a Fontanamoneta per trovare, proprio sul sagrato della chiesa, un esemplare strepitoso, a chioma molto espansa e ben proporzionata, piantato nel 1841.
Gli ultimi due, acero di monte e acero riccio, si trovano solo in faggeta e quindi sopra gli 8-900 m. In particolare il secondo assume tinte gialle molto intense: un esemplare plurisecolare, fra i più grandi dell’intera Italia forestale (è pure biforcuto, con una branca a candelabro magnifica), si trova sul sentiero Cai n. 243, fra Campigna e Poggio Ballatoio. Ci sarebbe anche l’Acero minore (Acer monspessulanum) decisamente raro in Romagna e, d’autunno, dal giallo al rosso cupo. Si trova solo su terreni rocciosi, comunque con singoli esemplari sporadici: cercatelo sulla Vena del Gesso e nei pochi altri siti collinari a microclima mediterraneo; più su si trova sui versanti marnosi che sovrastano Ridracoli e in qualche vallone rupestre, come il Rio Rovigo o la Val d’Inferno nell’imolese.
E veniamo ai faggi, che passano dal giallo al rame, bellissimi. I più a «portata di mano», qui da noi - sempre concentrandoci su esemplari monumentali - sono tra Fonte del Bepi e Monte Collina, nell’Alto Tramazzo (sent. Cai 553) e lungo i vicini 565 (Valdanda) e 509 (sentiero dei grandi alberi che parte da Ca’ Bagno). Su quest’ultimo si trovano anche tre vecchi castagni (colori bruno-ramati), un colossale cerro (arriva al ruggine) e un ciliegio che invece prende tonalità rossastre.
Tra gli alberi forestali va segnalato il tiglio selvatico, che a differenza degli esemplari urbani - generalmente tigli americani - assume colori molto accesi: tre esemplari abbastanza grandi al Carnè (sent. 505 e sent. degli abissi), altrimenti, come in altri casi, bisogna andare nelle Foreste Casentinesi: chi vuol camminare può vederli sul già citato sentiero 243, altrimenti due colossi si trovano a Campigna, uno sopra la porta dell’Albergo Granduca, l’altro nel vicino viale visionariamente descritto nei Canti Orfici da Dino Campana (che lo percorse di notte, con la luna, nel 1910), viale che per il resto è di aceri di monte ultracentenari. 
Passsando agli arbusti, il più bello è certamente lo scotano (Cotinus coggygria), dalle inconfondibili foglie rotonde che si colorano precocemente, già in questi giorni, di un acceso arancione; il problema è che mentre risulta comune in certi ambienti mediterranei (ad esempio nei ghiaioni delle Marche, oppure nei suoli sabbiosi della ravennate pineta di Classe), nella collina romagnola risulta raro, limitato a certi versanti rocciosi del forlivese, tipicamente nella media valle del Savio, attorno a Sarsina. In alternativa, per il faentino basterà prendere un crinale relativamente esposto e luminoso, ad esempio la cresta che da Monte Battaglia, sopra Casola Valsenio, si snoda per 4-5 km fino all’aerea chiesa di Valmaggiore, per trovare biancospini color Sangiovese, prugnoli gialli, sanguinelle (e qui è facile capire di che colore saranno), cornioli color bronzo e infine gli ornielli, che botanicamente sono alberelli ma che spesso, specialmente in situazioni di aridità e scarsità di suolo, assumono portamento cespuglioso: ecco, in questi giorni l’orniello (Fraxinus ornus) sfodera tutto il suo più attraente colore, dal porpora al violaceo.    
E finiamo con gli alberi campagnoli, spesso belli come e più di quelli forestali. D’autunno si segnalano i gelsi, giallissimi, i peschi e gli albicocchi, i ciliegi, i susini e le rosacee in genere (salvo il mandorlo, che è una meraviglia ma per altri motivi) e infine le già citate viti, anche se limitatamente ad alcune varietà: la più spinta è l’antica balsamina, ormai scomparsa, che arriva al viola, anzi - è proprio il caso di dirlo - al rosso vinaccia. Molto belli diventano anche i caki e per questo basta andare alla faentinissima «punta degli orti», oggi «parco Veniero Lombardi». 
Non assumono colori autunnali, invece, i kiwi, che semplicemente accartocciano le foglie: ma visti gli altri, più gravi, difetti che possiedono (vogliono un sacco d’acqua), almeno per questo si possono perdonare.
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