Tennis, il ravennate Bondioli e il doppio best ranking: «Wimbledon, Roma e una vittoria da sogno: ora voglio continuare a scalare la classifica»

Romagna | 05 Luglio 2025 Sport
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Agostino Galegati
Il tennis italiano sta vivendo una vera e propria età dell’oro con elementi di spicco come Jannik Sinner, Lorenzo Musetti e Jasmine Paolini oltre all’highlander massese Sara Errani, ai vertici della classifica Atp e Wta. Dietro di loro stanno però lottando per posti al sole anche tante nuove leve e tra queste una parla ravennate, il neo ventenne Federico Bondioli (è nato il 16 maggio del 2005), ora in forza allo Sporting Club Sassuolo e da tre anni ufficialmente tennista professionista. Nella classifica aggiornata al 30 giugno il giovane romagnolo ha raggiunto le migliori classifiche sia di singolare (388) che di doppio (206).
Bondioli, come si è avvicinato al tennis?
«Mio padre è stato giocatore professionista di beach tennis, l’ho spesso seguito nei suoi tornei. In particolare mi ricordo che eravamo al Foro Italico con mia madre, ho voluto cominciare a giocare nei campetti periferici e lì è cominciato tutto, a partire dallo Zavaglia fino ad arrivare a Bordighera da Piatti e infine a Sassuolo».
Come si è sviluppata la sua crescita?
«Direi in modo molto naturale, costante, provando sempre a migliorare qualcosa, con la consapevolezza però della mia qualità, forse superiore a quella di molti miei compagni ma anche quella di non essere un fenomeno e di dover lavorare tanto per poter crescere anche in classifica. Sono felicissimo del lavoro che sto portando avanti con il mio gruppo di lavoro e ci sono tutti i presupposti per fare bene».
Ha un tennista di riferimento del passato o del presente?
«Il mio idolo è stato sicuramente Rafa Nadal, non a caso probabilmente mancino come me. Poi a Bordighera ho potuto conoscere Sinner con cui è nato un bel rapporto, se ho la possibilità vado a tifare per lui. Adesso non ho un giocatore di riferimento ma devo ringraziare Stefano Travaglia, ex numero 60 al mondo, con cui sto giocando molti tornei di doppio a livello Challenger e mi sta dando una grossissima mano in campo e fuori dal campo».
Un riassunto della sua carriera?
«Sono ancora molto giovane, ho appena vent’anni e fare un riassunto della mia carriera è veramente impossibile».
Quali sono i vostri prossimi impegni? Si è dato un obiettivo per la fine del 2025?
«Il mio obiettivo è quello di concentrarmi sui circuiti Challenger, sia in singolo che in doppio. E’ una tipologia di tornei che devo esplorare e devo dire che i risultati stanno anche arrivando (si è qualificato in modo brillante a Milano nella settimana del 23 giugno e in questa è stato impegnato a Modena, ndr). A livello di obiettivo stagionale punto a entrare nei primi 320-330 al mondo. So che è difficile perché i punti da conquistare diventano sempre di più ma sono motivato».
A maggio forse una delle massime soddisfazioni, aver sconfitto in coppia con Carlo Alberto Caniato una delle coppie più forti al mondo, Bolelli-Vavassori, testa di serie numero cinque in quel torneo. Emozioni particolari?
«Per me è stato un sogno che si è avverato, giocare in Italia, a Roma, al Foro Italico, davanti a un buon pubblico e battere la coppia italiana di Davis, che può vantare finali dei tornei dello Slam, per un giorno e mezzo non mi sono forse reso conto di dov’ero. Al di là dell’importanza del risultato in sé stesso, vincere mi ha dato ulteriore consapevolezza nei miei mezzi. E’ vero, si è trattato del torneo di doppio ma credo che mi abbia dato una bella mano anche a livello di singolare per sviluppare la continuità di rendimento che sto avendo nei singolari Challenger».
Quali sono i suoi punti di forza e quali i fattori su cui lavorare?
«Direi che sono un giocatore a cui piace molto variare il gioco, ho un buon servizio, ho un buon rovescio e con l’aiuto di quella che reputo una buona palla corta mi piace venire a giocare sotto rete. Dal punto di vista degli aspetti da migliore il diritto ma soprattutto proseguire in questo processo che, come dicevo, stiamo sviluppando grazie al lavoro sul fatto di essere mancini».
Molti dicono che essere mancini sia un vantaggio. Lei lo può confermare?
«Effettivamente sì, può essere un vantaggio, perché di giocatori mancini nel circuito non ce ne sono tantissimi. Le rotazioni che si danno, il tipo di servizio che siamo in grado di giocare, possono effettivamente mettere in difficoltà un destro ma tutto questo, come dicevo, va sfruttato nel modo giusto durante una partita».
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