Russi, in arrivo il disco «solista» di Marco Zanotti, «coltivato» in lockdown

Romagna | 21 Febbraio 2021 Cultura
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Federico Savini
«Vedo “Re-flexio” come un antidoto contro il pensiero monolitico e totalitario. E’ un leitmotiv che mi accompagna da sempre e che in questo disco spero risulterà particolarmente chiaro, anche grazie alle opere d’arte di Gaia Carboni, che fanno parte del progetto e nascono dall’idea di inquadrare in modo insolito oggetti a cui non diamo alcun valore. Vorrei dire a tutti di darsi il tempo e la curiosità di guardare le cose sotto tanti punti di vista. E’ il modo migliore per evitare il pensiero unico». Strano a dirsi, ma Marco Zanotti il 6 marzo uscirà per la prima volta con un disco per così dire ‘solista’, intitolato appunto «Re-flexio» e accompagnato dalle opere grafiche di Gaia Carboni. E’ strano non tanto per il concept dietro all’album - che, anzi, fa davvero da filo conduttore alla ricerca musicale e pure filosofica di Zanotti -, ma perché l’attivissimo percussionista e compositore di Russi (citiamo almeno Del Barrio, Classica Orchestra Afrobeat, Cucoma Combo e Mothra fra i suoi progetti) in effetti non aveva mai partorito un album solista. E la forzata parentesi lontano dai palchi - tanto più per uno che suona abitualmente in tutto il mondo - si è rivelata se non altro utile a far quadrare progetti discografici in cantiere da tempo.
«Ultimamente dico che ‘mi difendo’ a chi mi chiede come va con la pandemia e il blocco dei concerti - dice Marco Zanotti -. E’ davvero un difendersi da un ‘nemico nuovo’».
Cosa ti manca di più?
«Il pubblico. Io sono un musicista ‘live’, il pubblico mi stimola e dà letteralmente senso a ciò che faccio. In realtà mi piace anche lavorare in studio e curare le produzioni, quindi come ‘alternativa’, ancorché obbligata, è assolutamente benvenuta. Tanto più che questo tempo pandemico, fin troppo lungo, è stato utile per elaborare progetti nuovi, che avranno un futuro davanti al pubblico. La tranquillità della campagna, dove abito, è stata d’aiuto in questo, ma nello stesso tempo ho capito che lo streaming non fa per me».
Tra i progetti in corso d’opera c’è una nuova collaborazione col coreografo Roberto Castello, dopo «Mbira» che ebbe una candidatura al Premio Ubu. Ora arriva «Inferno»…
«E’ in lavorazione e credo che, ad esempio, toccherà Dante solo tangenzialmente. Insieme ad Andrea Taravelli sto curando le musiche dello spettacolo, che non so se posso chiamare ‘colonna sonora’ perché l’idea di Roberto è far nascere musica e danza simultaneamente. E’ molto stimolante come idea, anche se dribblando i metodi canonici la cosa è piuttosto complessa».
In che senso «Re-flexio» è un disco ‘solista’?
«Sono suggestionato dall’idea che sta dietro a questo progetto da anni, e che ha a che fare non solo con i suoni, ma ancora con la geografia, la politica e la filosofia. I viaggi danno senso e corpo al mio lavoro, rientro sempre con appunti e materiale per nuove ricerche. La ‘re-flexio’, cioè la ‘riflessione’, è questo, il riprendere in mano stimoli accumulati nel passato. Ho approfittato dello stop forzato per dare forma a quest’idea, insieme a Gaia Carboni, artista torinese che però è cresciuta a Chiesuola, letteralmente dietro casa mia! Gaia ha creato 64 opere basate su lamine d’alluminio scartate. Le ha incise a partire dalle macchie e dalle erosioni causate dal tempo. La riflessione della luce - in questo caso una ‘riflessione’ in senso fisico - e la prospettiva da cui si guarda modificano le forme dei disegni. Le opere di Gaia quasi ci costringono a usare il nostro cervello per dare forma a ciò che vediamo. E guardare le cose da nuove prospettive è l’antidoto al pensiero unico che dicevamo».
Che strumenti suoni sul disco?
«Stranamente non suono la batteria e limito molto le percussioni. E’ un disco di ricerca che rappresenta fino a un certo punto la mia storia musicale, ma me lo sono concesso ed espone in forma sonora alcune riflessioni che sto portando avanti. La mbira sarà centrale e la suono da quasi un decennio. L’inizio della pandemia a Codogno coincise con il rientro da un viaggio che feci in Zimbabwe, proprio per approfondire la mbira. Si tratta di un lamellofono contenuto in una zucca, che fa da cassa di risonanza (una sorta di carillon dal suono molto dolce e sottilmente riverberato, che ricorda anche il gamelan asiatico, nda). Mi piace molto, in particolare per comporre, anche perché unisce ritmo, armonia e melodia. L’andamento tipico della mbira è la circolarità».
Tornerà anche la Classica Orchestra Afrobeat, progetto ambizioso che ha fuso la musica classica occidentale all’afrobeat, e che fin qui ha prodotto tre dischi molto diversi fin dalle premesse. Questa volta?
«Come il terzo album “Polyphonie” sarà un disco autorale, con brani miei ma scritti anche da Anna Palumbo, Manuela Trombini e altri elementi dell’orchestra, formata oggi da 14 persone, senza contare i tecnici che ci seguono. Proprio la ‘circolarità’ sarà anche qui centrale, fin dal titolo che è “Circles”. A differenza di tutti i capitoli precedenti, però, più che raccontare uno spazio geografico racconterà un tempo, un futuro distopico nel quasi si è stati costretti a tornare a un’essenzialità frugale. Per i live stiamo progettando dei costumi e una linea di gioielli riciclati da strumenti musicali. Questa essenzialità condizionerà un mondo in cui lo spirito tornerà ad avere giocoforza più peso della materia, rispetto a quanto siamo abituati oggi. E tutto tornerà ad essere permeato di ritualità e incentrato sulla figura del cerchio, che c’è in quasi tutte le culture del mondo. E’ una sorta di canale che ci può portare a un livello più alto di interpretazione del reale, attraverso l’aiuto degli antenati, delle divinità o della propria intimità più profonda. Il cerchio rimanda poi anche al ‘riciclo’, quindi a un concetto di sostenibilità ambientale. Cercheremo di mettere tutto a punto per l’estate. Le prove sono complesse e il Comune di Russi ci sta aiutando a trovare spazi adatti. In 14 è sempre stato difficile trovarci tutti insieme; la pandemia però, almeno questo aspetto lo sta agevolando».
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