Ruggero Sintoni di Accademia Perduta fra il «terremoto» che ha investito il teatro e l’idea «pubblica» della cultura

Romagna | 10 Maggio 2020 Cultura
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Federico Savini
«Si è parlato tanto di guerra, ma a mio parere, se guardiano ai danni economici lasciati sul campo, il livello di devastazione del Covid-19 è paragonabile più a un terremoto». Il modo per uscirne lo stanno cercando tutti, e ovviamente dipende prima e soprattutto dall’andamento epidemiologico e dalle decisioni del governo, ma dal lato dei lavoratori del teatro, Ruggero Sintoni di Accademia Perduta monitora costantemente l’evoluzione di uno scenario che ha stravolto ogni certezze nel mondo culturale, cercando di farsi trovare pronto alle prossime fasi, studiando in anticipo le contromisure a una situazione inedita e drammatica, soprattutto per un settore che ha interrotto l’attività subito e ripartirà, presumibilmente, tra gli ultimi.
 «Per il momento non possiamo neanche fare la conta dei danni - spiega Ruggero Sintoni - perché proprio come quando ci fu il terremoto nel modenese, i conti si fecero a emergenza finita. E va ricordato che la nostra Regione, in quel frangente, fu a dir poco efficientissima».
Nell’ultima ordinanza nazionale neanche si parla dei teatri. Non che fosse imprevisto, ma la dice lunga sullo stallo di un settore che dà lavoro a tante persone, senza contare il contributo socio-culturale. Cos’è che servirebbe, prima di tutto?
«Servirebbe un cronoprogramma, emesso dallo Stato, che ci indichi una possibile data per le riaperture dei teatri. Anche una data suscettibile di modifiche, perché nessuno sottovaluta l’emergenza sanitaria e il fatto che questo virus sia particolarmente subdolo e insidioso, ma con una prospettiva potremmo riavviare in concreto il nostro lavoro, darci degli obiettivi, progettare un futuro».
Non trapela nulla su una possibile riapertura dei teatri?
«Le indicazioni sono solo quelle note a tutti: il 18 maggio sul versante culturale riapriranno musei e biblioteche, con le limitazioni e le contingentazioni del caso. Ribadisco la necessità di avere una prospettiva, ma devo anche di che, al netto della Danimarca che ha fatto sapere che il 1° riaprirà i teatri, in nessun Paese c’è una data anche solo ipotetica per il riavvio delle stagioni teatrali».
Oltre a gestire tante rassegne in tanti teatri romagnoli, curate anche diversi calendari estivi, specie di teatro ragazzi. Le condizioni dello spettacolo all’aperto lasciano qualche spiraglio in più?
«Per il momento non c’è differenza tra l’una e l’altra attività, ma il problema ovviamente è stato posto. L’Agis ha presentato al Ministro dei Beni Culturali un progetto per la ripresa delle attività nella fase 2, e si parla di cicli di teatro per famiglie come di grandi kermesse come il Ravenna Festival. Penso all’importanza che ha la rassegna di teatro ragazzi che facciamo a Brisighella e a quanto servirebbe, specie quest’anno, a far dimenticare l’isolamento ai bambini. Ma per ora vale il decreto che mantiene chiuse le nostre attività. Ribadisco, come ho ribadito alle riunioni dell’Agis, la necessità di un cronoprogramma, anche solo per completare le stagioni che abbiamo dovuto interrompere».
A proposito, qualcuno ha chiesto rimborsi parziali degli abbonamenti?
«A fine febbraio abbiamo contattato tutti gli abbonati, comunicandogli i primi slittamenti degli spettacoli, verso maggio e giugno. Poi sappiamo com’è andata. E comunque no, abbiamo ricevuto una manciata di richieste e di altro tenore: cose più tecniche, dalla sanificazione dei teatri, a cui ovviamente provvederemo, a come avere i voucher previsti per i rimborsi. Su questo voglio essere chiaro: c’è stato un Dpcm che prevedeva scadenze precise per i voucher, però noi, dopo aver trovato la massima disponibilità dei politici locali e negli agenti della Siae, abbiamo deciso che per i rimborsi non ci saranno scadenze. Appena sarà possibile ripartire contatteremo tutti gli abbonati, via posta e via mail, sulle modalità degli eventuali rimborsi, senza far fretta a nessuno. Assicuriamo fin d’ora che gli abbonati non perderanno il valore degli spettacoli che hanno il diritto di vedere, mentre non possiamo garantire il ripristino al 100% degli spettacoli saltati, che potrebbero non venire più allestiti. Gli spettatori non perderanno un centesimo, questo per noi è un fatto di responsabilità, tanto più visto che gestiamo teatri pubblici».
In concreto, come va avanti un’azienda di questo settore in un periodo del genere?
«Abbiamo chiesto lo sdoppiamento del codice Ateco dello spettacolo distinguendo fra l’apertura pubblica delle sale e quella privata, per manutenzione, lavoro d’ufficio e prove delle compagnie (è un importante dettaglio tecnico, che permetterebbe alle ordinanze di distinguere fra le due diverse attività, normandole di conseguenza, nda). Tecnici, attori e impiegati devono poter lavorare in teatro e, ad esempio, al Masini a Faenza abbiamo dovuto cambiare le batterie dell’allarme antincendio, inghippo per il quale c’è venuto incontro il comandante della Polizia Municipale. Problematiche simili li abbiamo affrontate e risolte anche in altri teatro storici come il Diego Fabbri a Forlì e il Goldoni a Bagnacavallo. Gli impiegati lavorano da remoto ma i server sono a teatro e a volta vanno riavviati».
Ipotesi tecniche per una possibile riconversione dei teatri ce ne sono?
«Le stiamo studiando, ne parliamo per ore ogni giorno con Claudio Casadio e gli altri. La situazione è inedita e nessuno ha la bacchetta magica, ma 40 anni di esperienza nella gestione di teatri, che peraltro conosciamo come le nostre tasche, ci aiuteranno a trovare le soluzioni. L’ipotesi del distanziamento con le sedie vuote va studiata bene, perché nel nostro caso parliamo di teatri che hanno % di riempimento dell’85-90%, e che sono quindi molto virtuosi. La nostra campagna si chiama “Torneremo ad applaudire” e per noi è una promessa».
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