Riolo, «Terre della Rocca» dà vita a vini nati all’ombra della Vena del Gesso»

Romagna | 28 Novembre 2020 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - Nel cuore della Vena del Gesso romagnola, in terra riolese, dal 2017 ma con prima vendemmia effettiva avvenuta nel 2019, è nata Terre della Rocca. Azienda agricola a suo modo sui generis, visto che è di proprietà della Banca di Bologna Real Estate. Acquisita a fine 2017 l’azienda ha 10 ettari di vigne in produzione e ripianterà questo inverno 12 ettari di vigna. Terre inserite nel contesto paesaggistico della valle del Senio poco sopra la frazione di Isola, in Comune di Riolo Terme. Argille rosse che si stagliano all’interno di morfologie caratterizzate da calanchi e gessi, che caratterizzano indiscutibilmente l’imprinting organolettico dei prodotti vitivinicoli. Una produzione che segue la rigorosa selezione di uve nelle due vigne considerate maggiormente vocate e la raccolta viene fatta a mano. Vinificazione che viene poi effettuata nella cantina di Villa Papiano sotto il controllo e la cura di una squadra di professionisti coordinata da Giorgio Melandri e che comprende Francesco Marchi, agronomo, Tommaso Bindi, enologo, e l’agronomo Francesco Bordini per quel che riguarda la progettazione dei nuovi impianti, soprattutto con una consulenza sulla genetica di portainnesti e cloni dei vitigni che andranno a dimora. Per conoscere un po’ meglio questa scommessa imprenditoriale abbiamo incontrato lo stesso Giorgio Melandri
Come mai questa acquisizione?
«Banca di Bologna Real Estate è una società che partendo da alcune situazioni di sofferenza vuole costruire occasioni di sviluppo. C’è in Banca di Bologna una cultura molto forte della responsabilità sociale e di un ruolo prezioso nello scenario di oggi. Questo vale anche per Terre della Rocca e in particolare per la visione alla quale si cerca di dare corpo: costruire un progetto prezioso per tutta la Romagna, non una semplice produzione di vini, ma qualcosa che possa restituire valore alla valle del Senio e del territorio».
All’ombra della Vena del Gesso nasce un nuovo approccio alla viticoltura romagnola, puntare sull’autoctono per dare un respiro e una riconoscibilità anche a un’area territoriale, quella della valle del Senio, che sulla vitivinicoltura di qualità è sempre rimasta ai margini della riconoscibilità.
«La forza del vino è anche nei valori simbolici e i progetti che lo riguardano hanno anche un significato per tutta la comunità. La valle del Senio è povera di esperienze di qualità e Terre della Rocca ha un significato special. E’ naturale puntare sugli autoctoni. Tra l’altro l’interesse per Sangiovese e Albana è sempre più forte e crediamo che le scelte dentro la tradizione abbiano molto più futuro delle altre. Per farlo abbiamo coinvolto Francesco Bordini che ha studiato i terreni e proposto delle combinazioni di cloni-portainnesti particolari e tutte rivolte alla qualità. Abbiamo coinvolto diversi vivaisti per produrle e quest’inverno le metteremo a dimora. Terre della Rocca è un progetto ambizioso e può essere una esperienza fondante di una nuova stagione della Romagna. Mi piace sottolineare che si punterà forte sull’albana e che verranno piantati tutti i cloni oggi disponibili, 7 ettari che non hanno precedenti in Romagna».
Quali sono le peculiarità organolettiche dei vini che si stanno cercando di far prevalere nelle varie declinazioni prodotte? Quanta produzione e dove viene vinificata?
«La prima vendemmia ufficiale è la 2019, vinificata al polo di Tebano. Con la vendemmia 2020 le vinificazioni sono però state spostate a Villa Papiano dove resteranno in futuro. Sono 8.000 bottiglie in totale, ancora una piccola produzione. Per adesso sono prodotti due Sangiovese, entrambi due Romagna Sangiovese Superiore, diversi per carattere e affinamento. La “Fhura del Basino”, un omaggio alla vicina oasi naturalistica Forra del Basino, è un vino materico, elegante e floreale. Stilisticamente è un classico delle argille rosse che interpreta infatti con nitidezza e precisione. Il “Trinzano” è invece un Sangiovese che viene brevemente affinato in tonneaux e aggiunge al carattere del Sangiovese le raffinate speziature dei buoni legni francesi. È un vino assolutamente fuori dal cliché del boisé, ma è invece una lettura moderna dello strumento, la dimostrazione che il metodo non conclude mai il racconto del vino. Nel 2021 uscirà una riserva, poche e straordinarie bottiglie». 
Come diceva c’è però un grande progetto dedicato all’Albana. Quali le caratteristiche e le prospettive?
«L’Albana è l’autoctono prezioso, ha rango ed è una esclusiva della Romagna. Oggi sta vivendo un momento di rinascita, un piccolo successo che noi vediamo come un punto di partenza per andare molto più lontano, anche in termini di eleganza. In inverno verranno messi a dimora 7 ettari, coinvolgendo tutti i cloni presenti in Romagna. Vediamo come esprimerli al meglio nel tempo e come combinare i diversi caratteri che esprimono. C’è anche il progetto di un metodo classico, il vitigno ha anche questa vocazione e crediamo che i lunghi affinamenti “sur lie” possano essere una strada interessante». 
In definitiva quale la sfida per questa inedita “sottozona” territoriale che potrebbe riservare importanti sorprese dal punto di vista della riconoscibilità autentica del fare vino di qualità in Romagna?
«La sfida è esprimere l’originalità di questi terreni caratterizzati dalla presenza dei gessi. C’è Lea Katseli con i suoi vini e null’altro. C’è una esperienza a Brisighella, Villa Liverzano, ma siamo ancora all’inizio di un racconto interessante. La valle del Senio ha delle peculiarità incredibili e il parco regionale potrebbe essere un grande amplificatore. Parlare di vino significa parlare di ambiente, natura, paesaggio, stile di vita. Il parco può rendere tangibile questo concetto che rischia sempre di essere troppo astratto».
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