Ravenna, tumore al seno negli uomini. L'oncologo: «Diagnosi tardive»
Quattro o cinque casi in tutto, al momento. Numeri che non possono giustificare campagne di screening come avviene per le donne ma che impongono di parlare sempre di più e sempre meglio di un tumore poco trattato, quello maschile al seno. Federico Cappuzzo, direttore dell’Oncologia dell’Asl di Ravenna dal 2016, già vent’anni fa fece uno studio sul cancro alla mammella negli uomini.
Dottore, tra gli addetti ai lavori è un tema conosciuto. Tra la popolazione, invece?
«Un argomento taciuto. È vero che i casi sono sporadici e quantificabili in circa 500 all’anno a livello nazionale, contro i 50mila delle donne. Ma è altrettanto vero che nell’immaginario collettivo si continua a escludere l’associazione tra tumore al seno e uomini. Quando si parla di neoplasie alla mammella, la mente va alle donne».
Quali sono i primi sintomi da prendere in considerazione?
«Il tumore si presenta esattamente come nelle donne, con un nodulo che negli uomini è anche più visibile, visto che la ghiandola mammaria ha uno sviluppo più contenuto. L’uomo, da questo punto di vista, potrebbe avere un vantaggio: accorgersene prima. Peccato che non sempre avvenga».
Per quali ragioni, esattamente?
«Spesso un uomo sottovaluta la cosa, allontanando il pensiero che possa davvero trattarsi di un tumore. L’assenza di programmi di screening specifici, che non avrebbero senso dal punto di vista dei rapporti tra costi e benefici proprio per la bassa insorgenza, non aiutano. E così, alla fine, quel vantaggio iniziale può essere perso e la diagnosi arrivare tardivamente. Nemmeno il fatto di essere a conoscenza di una predisposizione genetica è necessariamente un punto a favore, in questo senso».
Quali sono età di insorgenza e iter terapeutico?
«Il tumore insorge in genere tra i sessanta e i settant’anni. Tra i miei pazienti ho avuto anche un famoso allenatore di calcio. Il percorso terapeutico è lo stesso della donna, a partire dalla rimozione chirurgica. Negli uomini si tende a fare più spesso terapie ormonali perché spesso il tumore è ormono-sensibile».
C’è un impatto psicologico diverso, invece?
«Non ho mai visti reazioni psicologiche specifiche rispetto al fatto che si tratta di un tumore che colpisce più spesso le donne. Sicuramente c’è un impatto forte che a che fare con la malattia tumorale in generale. Credo, in ogni caso, che per quanto non siano pensabili programmi preventivi specifici, fare campagne informative e parlare del problema sia utile. Lontani dall’idea di fare terrorismo, è giusto che si sappia che auto-palparsi un nodulo deve sempre indurre ad avere una certa attenzione. Che si tratti di donne o di uomini».