Ravenna, sostegno a metà. Una mamma: "Innamoratevi dei nostri ragazzi"
Silvia Manzani
In tanti anni di scuola il figlio di M.B., ravennate, ha avuto la continuità sul sostegno solo per gli ultimi due anni delle elementari. Per il resto, ogni volta che arriva settembre si riapre il balletto delle cattedre. Stessa cosa quest’anno, in seconda superiore: «Devo ritenermi fortunata sul fronte dell’educatrice di cooperativa, che quest’anno copre undici ore e che segue mio figlio dalla prima media. Ma sul resto, apriti cielo». I problemi, nell’istituto superiore frequentato dal figlio di Monica, sono sostanzialmente due: «Da un lato c’è il discorso della copertura: l’insegnante di sostegno fa dieci ore, dunque ne restano scoperte altre undici. Per sei ore settimanali la classe di mio figlio segue la lezioni a casa, tramite la didattica a distanza, versante sul quale il sostegno non ha alcuna efficacia, nel nostro caso. Ecco perché io e mio marito ci alterniamo nel prendere un giorno di permesso al lavoro».
L’altro problema riguarda lo scarso lavoro di squadra che Monica lamenta: «Spesso gli insegnanti di sostegno non entrano in empatia con i nostri figli, quando invece, per fare un buon lavoro se ne dovrebbero innamorare. Io sono convinta che mio figlio, che ha i suoi problemi ovviamente, debba comunque fare la sua parte, impegnandosi, così come io e suo padre ce la mettiamo tutta, anche economicamente, perché abbia tutto l’aiuto di cui necessita. Ma quando vedo, come quest’anno, scarsa collaborazione da chi è chiamato a fare sostegno, mi cascano le braccia». Il rischio che Monica paventa è che il suo ragazzo regredisca, invece di andare avanti: «Per carità, nelle scuole ci sono casi ben più gravi di quello di mio figlio, che comunque ha grandissimi margini di autonomia. Ma ci si sente lasciati soli, abbandonati. Noi non abbiamo nemmeno l’aiuto della Neuropsichiatria infantile, a volte la battaglia è durissima».