Ravenna, il primario di Cardiologia: "D'infarto si muore di più, si tende ad aspettare troppo"

Romagna | 24 Gennaio 2021 Cronaca
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Silvia Manzani
«Nella prima ondata del Covid anche noi abbiamo studiato la casistica degli accessi per malattie coronariche acute, registrando una riduzione tra il 30 e il 50%, in linea con il trend nazionale e internazionale. Sono osservazioni e dati che abbiamo anche pubblicato sul “Giornale italiano di cardiologia”, non senza le relative preoccupazioni. Avevamo anche notato come la tendenza a presentarsi in pronto soccorso per gli stessi problemi si fosse fatta più tardiva. Le persone aspettavano di vedere se il sintomo passava, andando poi incontro al minore beneficio dei nostri trattamenti. Queste dinamiche stanno in parte rientrando, anche se non ne siamo ancora fuori». Andrea Rubboli è il direttore dell’Unità operativa di Cardiologia di Ravenna, Faenza e Lugo. Ora che sta affrontando le conseguenze della seconda ondata della pandemia, non si è ancora lasciato alle spalle il dato, riportato dalla letteratura nella prima fase del Covid, di un aumento delle morti da infarto dell’1-2%: «Sulla carta può sembrare una cifra bassa ma invece ha un suo peso. Per fortuna stiamo vedendo che la percezione della gravità del Coronavirus sta un po’ scemando e quindi le persone, anche perché i messaggi sull’urgenza di recarsi in ospedale in fretta in caso di sospetto di infarto sono forse passati, hanno capito che non c’è da aspettare. Stiamo parlando di patologie tempo-dipendenti che solo l’ospedale pubblico, in questo caso noi, siamo in grado di gestire. E che non possono certo essere demandate ad altri tipi di servizi». Quel che invece c’è di positivo, adesso, rispetto alla prima parte del 2020, è che non è stata decisa alcuna sospensione, né sul fronte delle attività ambulatoriali, né su quello degli interventi programmati. Stiamo dunque ricoverando pazienti per procedure come la sostituzione della valvola aortica o il posizionamento del pacemaker per evitare disservizi e non rispondere solamente alle urgenze. Optare di nuovo per un’interruzione delle attività significherebbe dover ricollocare le persone, andando incontro a evidenti rischi per la salute. Siamo dunque soddisfatti di essere al lavoro sul recupero delle visite che sono state riprese a giugno. Chiaro che dal momento in cui le abbiamo riaperte, alle persone rimaste in sospeso si sono aggiunte quelle che hanno iniziato a prenotare in quel momento. Insomma, chi aveva l’appuntamento in agenda per maggio, è probabile che non sia stato ancora visitato. Noi ce la stiamo comunque mettendo tutta». Alle necessità riorganizzative, tema di non poco conto, si sono aggiunti del resto altri due fattori: «Da un lato capita che qualche medico o infermiere sia positivo ma di non avere sostituzioni come nella prima ondata, quando il blocco delle attività non urgenti ci aveva consentito di avere più personale a disposizione. Dall’altro il nostro reparto, come gli altri, a Ravenna sta dando una mano nella gestione dei pazienti Covid. Quindi spesso si lavora facendo alle acrobazie. Per fortuna la rete con Lugo e Faenza funziona bene. Nel caso di pazienti positivi che non abbiano necessità di rimanere a Ravenna, la prassi è di mandarli a Lugo: la rotazione, dunque, è continua e comporta uno sforzo importante. Abbiamo anche identificato, nella nostra unità operativa, una zona filtro dove la persona con sintomi sospetti viene sottoposta prima al tampone rapido e poi, se serve, al tampone molecolare». Un livello di attenzione simile è stato anche messo in campo sulle visite ambulatoriali, che non avvengono più ogni venti minuti ma ogni trenta. Gli accessi sono stati infatti organizzati in maniera distanziata sia a livello di spazio che di tempo. Questo ci garantisce che non ci siano assembramenti e speriamo possa contribuire a far percepire l’ospedale come un luogo in cui si può andare se si ha bisogno. Non so che cosa stia avvenendo nel privato ma in ogni caso per i problemi cardiologici urgenti non si può fare altro che recarsi in ospedale. Diverso il caso delle visite che, in qualche modo, possono attendere».
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