Ravenna, il «Dante» di Pupi Avati al cinema, con molte riprese fatte a Classe e Sant’Apollinare
«Ravenna si vedrà molto nel mio film. Qui Dante non solo vive i suoi ultimi giorni ma conclude anche il suo capolavoro. La coincidenza delle due cose è straordinaria: la sua morte fa diventare la Divina Commedia un libro sacro». Circa sei mesi fa Pupi Avati in persona prometteva ai ravennati, su queste pagine, che la loro città sarebbe stata protagonista di Dante, il primo, ambizioso film sul Sommo poeta mai tentato e finalmente in uscita nelle sale italiane giovedì 29 settembre. Interpretato da Sergio Castellitto (protagonista nel ruolo di Boccaccio), Alessandro Sperduti, Enrico Lo Verso, Alessandro Haber e il compianto Gianni Cavina, il film di cui si parla da diversi anni viene atteso con particolare impazienza a Ravenna, città che per ovvie e arcinote ragioni ha un legame specialissimo con Dante, e poi perché proprio qui il maestro bolognese ha portato la sua troupe per girare alcuni giorni.
Soprattutto nell’area della pineta di Classe e nella Basilica di Sant’Apollinare, dove ad accoglierlo è stato il parroco. «In pratica hanno girato qui un giorno - racconta lui stesso -. Io l’ho accolto e ho concesso di fare riprese in basilica, è chiaramente un luogo necessario per questa storia».
Stando a quanto raccontato dallo stesso Avati mesi fa, la basilica e la pineta «sono luoghi imprescindibili per il film - spiegava il regista bolognese -, perché Dante ha vissuto lì gli ultimi giorni della sua vita, in compagnia di Menghino Mezzani. Si dice anche che abbia in qualche modo trovato l’ispirazione per il Paradiso proprio grazie ai mosaici ravennati». E Pupi Avati e la sua troupe hanno passato un’intera giornata proprio nella pineta di Classe, a fare riprese come nelle foto che vedete in pagina. Le scene ambientate a Ravenna con il Sommo saranno dei flashback, poiché nel film si immagina che tutto prenda il via dal viaggio di Boccaccio a Santo Stefano degli Ulivi, dove la figlia del poeta, Antonia Alighieri, custodisce la memoria del padre, che Boccaccio risarcisce con 10 fiorini per i torni subiti in passato, innescando quindi il meccanismo narrativo a ritroso della storia del padre. (f.sav.)