Ravenna, Diletta Samorì: «Il bello di insegnare italiano agli stranieri»

Romagna | 05 Novembre 2019 Cronaca
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Una lingua, l’italiano, che si arricchisce di continuo. Tante lingue, quelle dei migranti, che si mescolano tra loro. A raccontare la propria esperienza in classe con i migranti è Diletta Samorì, referente della cooperativa sociale Cidas per i progetti europei di insegnamento della lingua italiana agli stranieri, che lo scorso 5 ottobre a Ferrara in occasione del Festival di giornalismo organizzato dalla rivista Internazionale con il supporto di Cidas, ha partecipato all’incontro «Parole preziose. I migranti ci portano ricchezza, non solo dal punto di vista strettamente economico, ma anche da quello linguistico e culturale».
Qual è il percorso che ha seguito per diventare insegnante di italiano per stranieri?
«Io nasco nel 2010 come operatrice di accoglienza per vari progetti legati all’immigrazione. Sono laureata in Cultura e diritti umani, un indirizzo di Scienze politiche, e il tema dei migranti mi ha sempre appassionata. Poi, nel 2015, l’esperienza e le attitudini personali mi hanno portato verso l’insegnamento della lingua italiana. Mi sono, quindi, specializzata seguendo corsi di formazione specifici per insegnare a migranti vulnerabili. Infine, ho preso la certificazione presso l’Università Ca Foscari di Venezia proprio per insegnare l’italiano agli stranieri. Ho sempre lavorato a Ravenna, sebbene la cooperativa Cidas operi anche su altri territori e su altri ambiti».
Quali sono i pro e i contro di questo lavoro?
«Ogni persona che incontro ha un bagaglio culturale personale e legato al paese di appartenenza ampio e interessante. Il mio lavoro mi permette, quindi, uno scambio e un arricchimento costante. Inoltre, dare la possibilità a qualcuno di comunicare e di esprimere le proprie emozioni nella tua lingua, che fino a poco prima non conosceva, è veramente gratificante. Per quanto riguarda i contro, sono legati alla complessità delle situazioni che si portano dietro le persone. In classe mi può capitare di avere ragazzi poco motivati, oppure con un vissuto così traumatico da interferire con il processo di apprendimento».
Ci sono migranti più bravi di altri nella lingua italiana?
«La capacità di imparare l’italiano non è legata tanto al paese di provenienza e alla lingua parlata, quanto al livello di scolarizzazione con il quale arrivano. Importantissima è l’idea che loro hanno della scuola. Per alcuni è anche un fatto di dignità: rimettersi sui banchi, quando nel proprio paese non ci sono mai stati, è molto difficile»
Nei progetti di accoglienza per migranti, di cui si occupa la cooperativa Cidas, quante ore sono dedicate all’insegnamento della lingua?
«Dipende dal progetto. In ogni caso, comprendono vari moduli legati alla produzione e comprensione scritta, orale e alla conversazione. Utilizziamo diversi strumenti come video, musica, film e uscite didattiche. Per gli argomenti ci basiamo sul gruppo e su quanto accade in città. L’anno scorso abbiamo approfondito Dante, partendo dal presupposto che anche lui aveva ricevuto l’asilo politico».
Le lingue madri dei migranti entrano in classe?
«La valorizzazione delle lingue di origine è un concetto fondamentale. Molti di questi ragazzi parlano addirittura tre o quattro idiomi, non solo quello del proprio paese, ma anche quelli incontrati nel viaggio migratorio. Spesso utilizziamo parole o racconti nelle loro lingue per fortificare proprio il concetto legato all’apprendimento delle lingue come modalità per comunicare e creare rete. A un certo punto, quando le competenze linguistiche non sono ancora del tutto raggiunte, ma l’apprendimento procede, si crea una sorta di “interlingua” una terra di mezzo, dove utilizziamo un linguaggio funzionale che comprendiamo solo noi in classe».
Qual è la soddisfazione maggiore che hai ricevuto in questi anni?
«Sono state varie. Di certo, quando vedo i ragazzi comunicare in italiano in maniera autonoma. Fa piacere, anche, quando ti ringraziano, quando ti riconoscono il lavoro fatto e soprattutto quando decidono di proseguire il loro percorso di studi e, magari, prendono la licenza media, o vanno anche oltre».
Nello scorso festival di Internazionale hai parlato del tema della contaminazione della lingua italiana. Come è andata?
«Al tavolo era presente Igiaba Scego, un’autrice italo-somala che scrive in seconda lingua. Noi, a lezione, utilizziamo spesso i suoi testi, come esempio di qualcuno che racconta in italiano la propria esperienza e la propria cultura di appartenenza. Un esempio di contaminazione che ha dato vita a una narrazione efficace ed emozionante: è proprio l’idea che portiamo avanti ogni giorno in classe».
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Sei Bravissima, porti un messaggio di pace e integrazione. Grazie
Commenta news 06/12/2019 - Tonino Francesconi
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