Ravenna, alla scoperta dell’Uva del Tundè 

Romagna | 21 Novembre 2020 Le vie del gusto
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La Romagna del vino, conosciuta al di fuori dei suoi confini per il Sangiovese, l’Albana e il Trebbiano, è in grado di regalare piccole chicche enologiche dalla storia affascinante. Una di queste è l’Uva del Tundè, vitigno autoctono di Ravenna che racconta alcuni tratti salienti di questa terra: la passione per la viticoltura, la propensione alla ricerca e la capacità di stupire. Dal 1998 l’Uva del Tundè è iscritta al Registro nazionale della varietà di vite e di conseguenza è tra le varietà autorizzate per l’Emilia Romagna, ma bisogna andare agli anni Trenta del secolo scorso per scoprire le origini di questa uva. E’ dal 1932 al 1956, infatti, che Primo Tondini eseguì una serie di prove sperimentali di nuove cultivar di uve rosse, da lui ottenute attraverso un procedimento sconosciuto a terzi, che portarono alla creazione dell’Uva del Tundè. Lo stesso nome, in dialetto romagnolo, significa proprio «Uva del Tondini», un omaggio dovuto alla sua grande passione per il settore vitivinicolo, che da sempre aveva rappresentato per la famiglia Tondini una delle principali forme di appagamento professionale, oltre che di mero sostentamento. D’altra parte la sua grande abilità manuale nello svolgere incroci, impollinazioni e innesti era conosciuta e nel suo vigneto le piante erano molto produttive e dotate di una buona resistenza alla fillossera e alle classiche malattie fungine della vite, quali la peronospora. «Come mio padre abbia creato quest’uva - racconta la figlia Ines Tondini dell’agriturismo L’Azdora - è un segreto che ho appreso da bambina e che conosco solamente io. Hanno studiato il dna dell’Uva del Tundè in tutta Europa e anche in Messico, ma non sono riusciti a trovare nulla di simile». La pianta di questa varietà è altamente produttiva e ha un fogliame intenso e vigoroso, in grado di adattarsi a diverse condizioni pedoclimatiche. «Mio fratello - rivela Ines Tondini - l’ha piantata in Ungheria, altri l’hanno portata in Svizzera e in Austria e in tutti i casi la vite, piantata per talea, ha dato gli stessi risultati: produzione buona e nessuna malattia». La capacità di resistere a periodi di carenza idrica su terreni tendenti all’argilloso e alle principali malattie della vite è un altro punto di forza dell’Uva del Tundè. «Dopo decenni in cui si è fatto largo uso di fitofarmaci - sottolinea Ines Tondini - avere varietà resistenti che non necessitano di trattamenti è molto importante, noi conduciamo la nostra azienda in biologico e raccogliamo frutti sani e ricchi di zuccheri». La forma della foglia è quella delle uve bianche, ma in autunno si colora di rosso fuoco come quelle del caco. Il grappolo, di forma cilindro-piramidale, è compatto e lungo circa venti centimetri con acini medio piccoli di colore blu-nero. Nel calice il vino si presenta di un colore rosso granato intenso con riflessi violacei. A profumi intensi di bacche rosse, amarena, ciliegia, marmellata di frutti di bosco, ravvivati da note speziate di vaniglia e tabacco, corrispondono un gusto amarognolo e leggermente astringente, un corpo profondo e un finale equilibrato. A tavola l’abbinamento migliore è con formaggi stagionati, salumi, selvaggina e carni rosse. Da provare il brasato al Rosso del Tundè o il filetto di manzo lardellato con riduzione al Rosso del Tundè, due ricette disponibili sul sito web del Consorzio Uva del Tundé (www.consorziouvadeltunde.com), che oggi conta tre soci e ha sede nella frazione ravennate di Madonna dell’Albero. In un periodo delicato a causa della pandemia in corso, l’Uva del Tundè diventa anche una sorta di buon auspicio. «Ho messo in freezer alcuni grappoli d’uva - racconta Ines Tondini - e a Capodanno li scongelerò per mangiarli insieme alla mia famiglia per augurarci un nuovo anno migliore. Ho già provato a farlo in passato con successo grazie all’incredibile resistenza di quest’uva».
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