Ravenna, Abdoulaye: «Il Ramadan aiuta a essere persone migliori»

«Il Ramadan non è solo un modo per venerare Allah e rispettare uno degli obblighi della fede musulmana: è anche un esercizio di vita, un modo per darsi una disciplina, riuscire a stare sul presente, darsi degli obiettivi, lavorare su se stessi, sacrificarsi. In questo senso, io i vantaggi li sento tutto l’anno, non solo durante il mese del digiuno». Abdoulaye Koina, 29 anni, originario del Mali e studente, a Ravenna, del master in lingua inglese in «International cooperation on human rights and intercultural heritage», racconta che cosa significa vivere il periodo tra aprile e maggio, considerato sacro per chi è di religione islamica: «Io il Ramadan lo faccio da quando avevo sette o otto anni, anche se devo ammettere che con i bambini si chiude un occhio, non sempre si aspetta il calare del sole per rompere il digiuno e mangiare. Oggi ovviamente sono molto serio, per me è un momento importante, con un senso preciso. Ogni giorno, a seconda del tramonto, l’orario al quale si può iniziare a bere e mangiare cambia di qualche minuto, spostandosi in avanti». Da quel momento, ogni musulmano si organizza un po’ come crede: «Io, dopo l’ultima preghiera della sera, in genere mangio datteri, riso e zuppa di verdure, a volte anche carne. Quando vado a dormire, punto la sveglia per le tre ma quando mi alzo mi limito a mangiare pane e latte per non appesantirmi e per non rischiare che il corpo, a furia di mettere dentro cibo, mi chieda sempre di più. Capita, infatti, che più mangi più mangeresti. Ma poi la digestione ne risente. Così come i chili, che spesso alla fine del Ramadan sono aumentati». Dopo la preghiera delle 4 e mezza di mattina, Abdoulaye torna a dormire: «A seconda della luna, il Ramadan può durare 29 o 30 giorni. A me aiuta senza dubbio a essere una persona migliore». Per quanto riguarda la gente Abdoulaye, che è in Italia dal luglio del 2019, non ha mai avvertito pregiudizi: «Sicuramente questa storia del digiuno incuriosisce, anche perché molti non sanno di che cosa si tratti. Ma, forse protetto dagli ambienti internazionali che grazie all’università frequento, non ho mai sentito, intorno a me, commenti negativi». (s.manz.)