Mallak, ex tirocinante della Casa delle culture di Ravenna: «Dalla Giordania la guerra in Palestina faceva molto male»
«Ora che sono così lontana sento il bisogno di proteggermi, di non accanirmi a informarmi su tutto, di non guardare sempre la tv. La guerra israelo-palestinese mi ha toccata da vicino fin da bambina, una volta venni portata in ospedale, dopo la seconda Intifada, perché avevo gli attacchi d’ansia, ero svenuta e stavo male». Mallak Alkhatib, 32 anni, giordana, ha alle spalle un tirocinio alla Casa delle culture di Ravenna, con cui continua a collaborare per la rassegna cinematografica «Identità e intercultura: una visione per Ravenna»: «Io però dal 2013 vivo a Rimini, dove lavoro nella mediazione linguistica e interculturale per la cooperativa Eucrante e dove sono arrivata con una borsa di studio per frequentare la magistrale in Economia e management del turismo. In Giordania avevo studiato lingua ebraica ma anche lingua e cultura italiana, affascinata dai racconti e dal modo di parlare di mio zio, nato in Palestina ma oggi sposato con un’italiana a Roma, dove nel 2009 avevo trascorso un breve periodo». Dopo il trasferimento in Italia, Mallak in Giordania è tornata spesso, non smettendo mai di guardare a cosa accadeva a poche centinaia di chilometri da casa sua: «Spesso quando ero piccola, mia nonna andava in Palestina a trovare i miei zii materni. Aspettavo sempre con trepidazione quel giorno, sperando di poter passare il confine e andare con lei. Ma non ci sono mai riuscita, tra l’altro ottenere un visto d’ingresso non era per niente facile. Mi dicevo spesso che avrei avuto bisogno di un altro passaporto, di un’altra nazionalità per passare di là». L’empatia di Mallak nei confronti delle vittime del conflitto arabo-israeliano oggi è più che mai forte, anche se sono lontani i tempi in cui non festeggiava nemmeno il suo compleanno perché qualcuno, in quella guerra, stava ancora morendo: «Oggi la recrudescenza delle tensioni mi fa male e mi interroga ancora una volta sul perché, dopo 73 anni, non si sia trovata ancora una soluzione. Spesso sono giù di morale e avverto lo stesso dolore di allora, anche se essendo sola in un Paese straniero non posso troppo permettermi di lasciarmi andare, visto che me la devo cavare da sola. Quando ero una studentessa in Giordania, invece, partecipavo a qualsiasi attività riguardasse la Palestina, scrivevo articoli e poesie che a volte venivano pubblicati e altre no. Una zia di mio padre, morta tre anni fa, aveva vissuto la guerra del 1948 e spesso ci ha raccontava che cosa avesse significato vivere in Palestina fino all’età di 25 anni». Mallak spesso si appella al testo del Corano: «In particolare, alla frase che dice che la libertà della Palestina si concretizzerà con l’arrivo di Gesù Cristo. In fin dei conti, vivendo in Italia ho cambiato il mio punto di vista su tanti aspetti, compreso quello religioso: che sia l’Islam, il Cristianesimo o l’Ebraismo, alla fine i valori comuni sono moltissimi. Io voglio sperare che la guerra possa un giorno finire, convinta che se 73 anni fa avessimo avuto le generazioni di oggi, informate, evolute, coraggiose, non saremmo ancora qui a parlare di razzi e bombe». (s.manz.)