Lo storico Andrea Baravelli: "Neofascismo, Romagna vulnerabile"
Andrea Baravelli - Quanti di voi hanno visto «Sono tornato»? Esattamente come «Er ist wieder da», col suo Adolf Hitler inspiegabilmente ricomparso nella Germania di oggi, così il film di Luca Miniero immagina un redivivo Benito Mussolini che s’aggira per le strade del nostro paese, tra gli abbracci dei passanti divertiti e i saluti romani dei giovani in bomber nero. Fino a riconquistarne il cuore (del resto, noi italiani abbiamo sempre accuratamente evitato di fare i conti con quel passato). Si ride, certo. Ma di un sorriso amaro. Perché all’uscita dalla sala è impossibile non chiedersi quale sia oggi il rapporto tra finzione e verità. Insomma, per dirla ancora più esplicitamente: non è che il fascismo è davvero tornato in Italia? Stando alla cronaca di queste settimane, popolata di brutte notizie a sfondo razzista e squadrista, parrebbe proprio di sì. Il gravissimo fatto di Macerata, il relativo successo ottenuto dalla lista neofascista a Ostia, il silenzioso e minaccioso corteo di estrema destra ad Acca Larentia sono solo gli ultimi episodi di un prepotente riproporsi dei fantasmi del passato. Come interpretare tutto ciò? Da una parte è vero che si deve diffidare della naturale tendenza a lavorare per analogia, specie quando tale propensione finisce per sovrapporre, in modo automatico e senza alcuna distinzione, gli eventi di oggi a quel che è accaduto un secolo fa; dall’altra parte, propria alla storia occorre tornare se si vuole davvero comprendere quel che sta avvenendo. Non perché quest’ultima insegni in fondo nulla, ma in ragione della sua capacità di farci ragionare (a partire proprio da quelle stesse analogie). Sulla base di questo ragionamento, oltre che per offrire uno strumento utile a orientarsi nel caotico flusso di informazioni e opinioni, i tre circoli cittadini del Pd hanno organizzato un incontro pubblico dal titolo «Il fascismo di ieri, il neofascismo di oggi». Per comprendere cosa sta succedendo (venerdì 18 febbraio, ore 20; sala Strocchi, via Maggiore 71). Allo storico il compito di spiegare quali dinamiche permisero al fascismo di affermarsi nell’Italia degli anni ’20, sopravvivendo alla catastrofe della guerra per arrivare fino ai nostri giorni; al sociologo quello di raccontare la difficile realtà delle periferie di questo paese, laddove cioè maggiormente s’alimenta la frustrazione e trova spazio l’espressione della rabbia. Perché se è certo che l’ostentazione dei simboli del ventennio rispecchia spesso una moda, rafforzata dalla crisi probabilmente irreversibile dell’antifascismo quale cultura politica di riferimento, è altrettanto vero che il neofascismo pare oggi in ascesa proprio perché straordinariamente abile nello sfruttare il disagio degli sconfitti dalla globalizzazione. Una riflessione è urgente anche rispetto alla Romagna. Terra lungamente orientata a sinistra, caratterizzata dal profondo radicamento della cultura antifascista, proprio in Romagna ci si è per molto tempo illusi di possedere inattaccabili anticorpi. La scoperta dell’avvenuto radicarsi dell’estremismo di destra, col suo corredo di intimidazioni e pratiche violente (si prenda come esempio l’aggressione, avvenuta a Forlì, da parte di militanti di Forza Nuova, del leader della Fiom Gianni Cotugno), ha così destato vero sconcerto. Ecco allora che la riflessione su quel che un tempo è avvenuto può aiutare a meglio affrontare il presente, anche in considerazione del fatto che il neofascismo si esprime, esattamente come fece lo squadrismo, usando la violenza al fine di occupare, sia in senso fisico che dal punto di vista simbolico, lo spazio pubblico. Fateci caso: i cortei degli uomini in nero mirano alla conquista dello sguardo delle persone (le parate con gran sventolio di bandiere, teste rasate e saluti romani), imponendo le proprie insegne sul territorio cittadino (le piazze più importanti, i luoghi carichi di senso per la cittadinanza) e impedendone l’accesso a ogni altro soggetto. Lo spettacolo della determinazione e della preparazione, merce rara in tempi difficili e confusi come quelli che stiamo vivendo, rischia di fare il resto.
*Università di Ferrara