IL CASTORO | Caso Regeni: la «Realpolitik» sulla pelle del ricercatore friulano
Matteo Loli
A distanza di oltre otto anni dall’omicidio di Giulio Regeni, l’Italia continua a finanziare un interscambio economico con l’Egitto pari a oltre 5,96 miliardi di euro, con un fiorente commercio di macchinari, prodotti petroliferi raffinati e prodotti metalmeccanici. «Praticamente i rapporti diplomatici tra Italia ed Egitto non hanno mai conosciuto una vera crisi, al contrario - ricorda Luigi Manconi, presidente e fondatore di A Buon Diritto - si sono intensificate tutte le relazioni economiche, finanziarie, industriali, culturali e persino sportive».
Il 17 marzo 2024 la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è recata al Cairo, accompagnata dalla premier Giorgia Meloni, dal cancelliere austriaco Karl Nehammer e da Kyriakos Mītsotakīs, Ünal Üstel e Alexander De Croo, primi ministri rispettivamente di Grecia, Cipro e Belgio. Sul tavolo è stato portato un piano di aiuti all’Egitto da oltre 7,4 miliardi di euro, dei quali 200 milioni destinati alla gestione dei flussi migratori. Di «giornata storica» ha parlato la premier Giorgia Meloni, aggiungendo in seguito, sul caso Regeni, che «tendenzialmente il tema viene affrontato durante gli incontri bilaterali con l’Egitto. Continueremo a tentare di ottenere qualcosa di più - ha proseguito -, ma penso che dobbiamo andare avanti sul fronte della verità e della giustizia».
«Se il nostro governo avesse cercato caparbiamente di ottenere verità e giustizia - ribatte Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni -, non avremmo aspettato otto anni per l’apertura di un processo».
«Prevale una malintesa idea di realismo politico, secondo la quale l’Egitto ha un ruolo chiave in quell’area, per una serie di ragioni che hanno a che fare con il petrolio, ma anche con i flussi migratori, con il contrasto all’islam e con la guerra scoppiata tra Hamas e Israele» commenta Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che da anni si occupa di diritti umani.
Dopo tanti anni dall’omicidio Regeni, per Manconi: «solo l’intelligenza dei familiari e la tenacia della magistratura hanno portato all’attuale processo». Infatti, lo scorso 20 febbraio si è giunti finalmente all’apertura di un procedimento giudiziario che vede imputati quattro 007 egiziani: il maggiore Magdi Sharif, il generale Tariq Sabir e i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi. Persiste, tuttavia, una totale mancanza di collaborazione da parte del governo egiziano, al punto che è stato necessario un intervento della Corte Costituzionale con una sentenza che ha permesso, modificando la procedura penale, che il processo andasse avanti anche in assenza di una notifica agli imputati, che si sottraggono a qualsiasi ipotesi di sottoposizione al giudizio. Per Gonnella «è la totale assenza di cooperazione con l’Egitto che ha prodotto l’impossibilità di riuscire ad arrivare a un processo nel paese in cui si sono consumate le torture e l’assassinio».
La vicenda ha inizio nel gennaio 2016, quando Giulio Regeni si trova al Cairo, per svolgere delle ricerche presso l’Università Americana sulle organizzazioni sindacali, un tema molto delicato in Egitto. Il 25 gennaio viene rapito, nei giorni seguenti atrocemente torturato e infine ucciso. Il suo corpo senza vita viene ritrovato il 3 febbraio in un fosso nella periferia della capitale egiziana: presenta evidenti segni di tortura su tutto il corpo. Sul volto di Giulio si è riversato «tutto il male del mondo», ha affermato Paola Deffendi, madre del ricercatore allora ventottenne. La notizia prima della scomparsa e poi del ritrovamento del cadavere di Giulio intanto arriva alle istituzioni italiane e da subito risultano evidenti i tentativi di depistaggio da parte della polizia egiziana. I servizi di sicurezza del Cairo avanzano ipotesi sulle cause della morte di Regeni, come un incidente stradale, o possibili coinvolgimenti fatali in relazioni omosessuali o spaccio di stupefacenti, da subito smentite dal risultato dell’autopsia sul corpo della vittima. Intanto, nell’aprile 2016, Paolo Gentiloni, allora ministro degli Esteri, richiama in Italia Maurizio Massari, l’ambasciatore italiano in Egitto, come segno di protesta per la scarsa collaborazione dimostrata dalla diplomazia del paese africano. Questa è stata «l’unica vera misura di pressione esercitata nei confronti del regime di Abdel Fattah Al-Sisi» evidenzia Luigi Manconi.