Silvia Manzani
Il nome che le hanno dato alla nascita proprio non lo vuole sentire. Perché fa male. Perché non le corrisponde. Perchè è maschile. Greta, 13 anni, di Ravenna, è una ragazza. Non importa se sul documento c'è scritto il contrario. Ieri sera la sua storia è stata raccontata durante il programma tv
«Le Iene», nel quale con grande lucidità, nonostante la sua giovane età, Greta ha detto che i deboli sono i bulli, non lei. Che lei è fiera di essere quella che è, nonostante le difficoltà.
Quando ti senti una femmina ma biologicamente non lo sei, quando fin dall'infanzia ti emarginano da ogni lato, visto che i maschi ti considerano effemminata e le femmine un maschiaccio, la fatica di stare al mondo è tanta. Tanta che arrivi a dire alla mamma, Cinzia Messina, che domattina non ti vuoi svegliare più. A meno che non ci sia una possibilità, quella di essere una ragazza.
«Quante volte mi sono sentita etichettare come frocio - ha spiegato Greta -. Ma la gente non sa che l'identità di genere e l'attrazione sessuale sono due cose diverse». Ci erano cascati anche i suoi genitori, all'inizio, nel tranello: «Anche io per molto tempo ho creduto che fosse gay, di questi argomenti non sapevo nulla», ha ripetuto più volte la mamma.
E anche il gemello di Greta, Paolo, sa già che quando le cose non si capiscono, è più facile prendere la via più comoda: allontanare il diverso, mettersi nella zona di comfort dell'omoologazione. E allora Greta, che frequenta una scuola media della città, lungo il suo percorso scolastico è stata messa da parte, emarginata, presa in giro, tenuta nell'angolo. Ma oggi, nonostante la solitudine e la ghettizzazione, non ha paura di dire al mondo chi è e dove vuole arrivare. La sua famiglia, a testa alta, ha iniziato a studiare, informarsi, comprendere. E soprattutto, a sostenerla: «Per anni ha incassato i colpi che le arrivavano e ha abbassato la testa», ha detto Cinzia.
Ora, invece, Greta lo sguardo lo tiene dritto, così come può entrare in bagno e usare lo struccante della mamma senza nascondersi. Ora i pregiudizi li allontana e sa di non avere bisogno della compassione degli altri: «Noi persone transgender sappiamo chi siamo. E non abbiamo paura di dirlo»