Gli autoctoni di Romagna, la mappa di cosa si produce

Romagna | 15 Febbraio 2018 Le vie del gusto
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Nella terra del Passatore non ci sono solo Albana e Sangiovese. Tanti, in tutto oltre una novantina, sono i vitigni che arricchiscono il patrimonio ampleografico di questa parte di regione. Tra questi ci sono sia vitigni internazionali sia unicità in grappolo che identificano in maniera unica il patrimonio vitivinicolo romagnolo. Una differenziazione dell’offerta che potrebbe anche spaventare ma che di fatto denota la grande importanza che la vite ha nel patrimonio economico, sociale e culturale di questo territorio.
I PADRONI DEI CAMPI
A fare la voce del padrone, grazie soprattutto alla presenza dei grandi gruppi cooperativi, c’è sicuramente il Trebbiano di Romagna. Vitigno coltivato soprattutto a Nord della via Emilia, di fatto la parte pianeggiante, che arriva a coprire 14.700 ettari di suolo. Una sterminata presenza di vigne che oggi potrebbe avere un’accelerazione in senso qualitativo. C’è infatti un progetto in cantiere che prevede la possibilità di spumantizzare questo vitigno, con la denominazione di Romagna doc, per provare a scalzare il predominio «nordico» delle bolle. Il secondo vitigno più coltivato e presente è il Sangiovese. Il simbolo in rosso dell’enoicità romagnola che anno dopo anno si sta ritagliando spazi d’interesse crescenti anche se si ferma a 7 mila ettari. Altra grande presenza vitata è quella del Pignoletto, soprattutto presente nell’area bolognese, che arriva a coprire 1.286 ettari.
FUORI DAL PODIO
Al quarto posto, per superficie vitata, c’è l’Albana. L’altro vitigno autoctono e simbolo della Romagna in calice che si ferma poco sotto i 1.100 ettari. Al quinto, sesto e settimo posto troviamo tre vitigni definiti internazionali. Si tratta per la precisione del Merlot (837,4 ettari), Cabernet sauvignon (724,9 ettari), Chardonnay (673,3 ettari). Subito sotto un altro autoctono, questo della Bassa Romagna, che da diversi anni sta sgomitando per ottenere un riconoscimento nel mondo della rappresentatività enologica non solo locale. Si tratta dell’Uva Longanesi, una varietà di vitigno che dà origine al vino Burson e che arriva a 479,1 ettari. Non bazzecole. Da qui, in ambito quantitativo prima di trovare un altro vino «esclusivamente» romagnolo bisogna passare attraverso altri grandi ambasciatori del vino regionale (Pinot bianco, Malvasia bianca di Candia, Montù, Barbera, Terrano, Sauvignon, Fortana, Ciliegiolo, Bombino bianco, Ancellotta, Biancame, Lambrusco Grasparossa e Montepulciano). Al ventiquattresimo posto troviamo il Famoso, vitigno bianco coltivato nella bassa Romagna che dà vita al vino «Rambèla» (59 gli ettari coltivati). Questo vitigno viene utilizzato soprattutto per dare vita ad una delle più promettenti e semi-aromatiche bolle di Romagna.
GLI ALTRI AUTOCTONI
Scorrendo l’elenco dei vitigni presenti un posto importante, non a caso il consorzio vini di Romagna ha in itinere la richiesta di ottenimento del riconoscimento di Denominazione di origine controllata, è il Centesimino. Vitigno a bacca rossa e vino coltivato quasi esclusivamente nell’areale compreso all’interno del territorio di Oriolo dei fichi nel faentino e che arriva ad interessare 22,3 ettari. Da questa uva si producono vini molto interessanti che abbracciano tutte le diverse possibili interpretazioni dal base allo spumantizzato fino ad arrivare al passito passando per il corposo riserva. Più in basso si trova la canina nera (9,9 ettari – Presente nella pianura ravennate e forlivese, si realizzano vini da bere giovani), l’uva del Tundè, anch’essa che produce vino rosso (1,8 ettari si coltiva a Ravenna si arriva fino al Riserva), la Lanzesa  (1,5 ettari – bianco, presente ancora oggi a Fusignano si fanno soprattutto passiti), la Ruggine (0,5 ettari – bianco, si utilizza principalmente per la produzione di aceto balsamico tradizionale) e l’Uva del Fantini (0,5 – rosso, si coltiva nell’Appennino bolognese), il Verruccese (0,2 – rosso, serviva per ammorbidire in taglio il Sangiovese oggi in purezza va bevuto giovane) e la Vercaccina (0,1 ettari – bianco, il vino è di pronta e giovane beva).
SI AVVICINA LA DOC DEL CENTESIMINO
«Non possiamo nascondere qualche difficoltà che stiamo incontrando per il riconoscimento ufficiale da parte del ministero per la Denominazione di origine controllata per il Centesimino ma siamo comunque cautamente ottimisti che il risultato potrà essere raggiunto» . Così Giordano Zinzani, presidente del Consorzio vini di Romagna commenta lo stato dell'arte dell'iter, partito più di un anno fa, per il riconoscimento dei un'altra Doc in terra di Romagna. «Da Roma - spiega Zinzani - continuano a richiederci documentazione che puntualmente inviamo. Sappiamo però che c'è qualche reticenza ministeriale a istituire nuove Doc italiane soprattutto se interessano numeri non grandissimi in termini di superficie vitata. Allo stato attuale va detto però che i requisiti del Centesimino per la doc ci sono tutti». Riconosciuto ufficialmente nel 2004, questo vino attesta la sua presenza in Romagna dagli anni ’50 del '900. La sua diffusione, soprattutto ad Oriolo, la si deve a Pietro Pianori, che iniziò a piantare marze, ricavate da una vecchia pianta rinvenuta nel giardino di una villa a Faenza, nel podere Terbato. Oggi il vino è prodotto da sette aziende comprese nell’areale delle sabbie gialle, si tratta di Ancarani, La Sabbiona, Podere Morini, Cantina San Biagio Vecchio, Leone Conti, Spinetta e Paolo Zoli. A questi si aggiungono altri quattro produttori: Pietro Bandini, Paride Benedetti, Paolo Francesconi e Mauro Giardini. La superficie vitata si aggira sui 22 ettari  con 50/60 mila bottiglie prodotte ogni anno.
 
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