Giacobazzi: «Spero che il virus ci cambi. In meglio»

Romagna | 09 Maggio 2020 Cultura
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Federico Savini
«Ho talmente tanto da fare che a malapena riesco a risponderti al telefono per l’intervista». Parte con una risata Giuseppe Giacobazzi, il più celebre fra i comici romagnoli che come tutti affronta la quarantena, naturalmente lo fa con la solita ironia ma a differenza di quasi tutti convive, oltre che con la famiglia, con il suo alter ego Andrea Sasdelli. «Siamo una coppia di fatto - mette in chiaro le cose Giacobazzi - in questa quarantena ci diamo forza l’un l’altro».
Mica poco, in una situazione di convivenza forzata che mette alla prova anche le coppie più solide...…
«Siamo una cosa sola, ma non lo siamo mica sempre stati! C’è voluto tempo per trovare un equilibrio».
Tanto che si questo sdoppiamento ha parlato in più di uno spettacolo.
«Sì, in particolare nell’ultimo Noi – mille volti e una bugia, il tema del rapporto fra Giacobazzi e Sasdelli è centrale. Ci siamo anche molto odiati, eh, dopo l’amore iniziale. Convivere così bene in quarantena è una bella prova di maturità, evidentemente quello che racconto negli spettacoli, su questo equilibrio, è vero!».
Con il lockdown, quali sono le cose che le stanno più strette?
«Anzitutto il fatto che ora sto nel bolognese, con la mia famiglia, ma mi piacerebbe potere andare anche nella casa in riviera. Mica per la spiaggia, che devono ancora farci sapere se sia fruibile, ma almeno respirare l’aria buona della pineta mi piacerebbe… Più di tutto comunque mi manca il lavoro, il contatto con i colleghi, i collaboratori e il pubblico».
C’è una parte bella?
«Sì, che siamo una bella famiglia, con anche dei fantastici animali domestici, e stiamo bene vicini. Poi ho il tempo di sistemare mansarda e cantina. E non tanto per dire».
Le pulizia di Pasqua, se non altro, quest’anno si fanno sul serio…
«Hai voglia, le ho fatte eccome, proprio ieri contemplavo i quattro scatoloni di roba inutile accumulata negli anni. Dopo tutto quel tempo si stenta a credere di aver avuto bisogno di quella roba, che lì rimane lì per anni, senza un perché. Guardare la scrivania vuota devo dire che è una bella soddisfazione e, insomma, diciamo che adesso il tempo c’è e non ci si può sottrarre ai doveri domestici».
A proposito di lavori e doveri, per quando sono riprogrammati gli spettacoli saltati per il virus?
«Bella domanda! Per Noi – mille volti e una bugia pensavamo a ottobre-novembre, ma temo sia una previsione ottimistica. Onestamente credo che questo genere di spettacoli non ripartirà prima di gennaio. E la cosa drammatica è che ci vivono sei famiglie».
Il settore dello spettacolo, ancorché se ne parli fino a un certo punto, è tra i più colpiti da questa crisi.
«Secondo me è il più colpito in assoluto. Io posso sopportare un periodo di fermo così lungo perché faccio da anni grandi spettacoli ma anche, ti assicuro, perché sono una formichina. Ma tutti quelli che mi gravitano, come fonici e tecnici di scena, sono in grave difficoltà. Tieni presente che, proprio perché le cose andavano bene, più d’uno aveva fatto investimenti, comprato materiale, affittato capannoni e così via. Parliamo di 40 spettacoli sold-out improvvisamente rinviati a data da destinarsi, in teatri fino a duemila persone. E’ chiaro che chi vive in questa prospettiva, come i miei tecnici, può pensare di fare investimenti, ma ora ci ritroviamo tutti senza tutele e con prospettive a dir poco incerte. I mutui e le bollette però son da pagare lo stesso, e anche mangiare, ogni tanto, uno lo dovrà pur fare.…Davvero, nel settore dello spettacolo siamo i più precari in assoluto, da sempre».
Questa situazione, così gravosa, potrebbe aprire spiragli politico-sindacali per le tutele a chi lavora nello spettacolo?
«C’è da sperare che la gente prenda coscienza di questa situazione e soprattutto dovrebbero farlo i politici. Vedo troppa gente pronta a criticare, ma quello di cui abbiamo bisogno solo soluzioni a problemi vecchi e occorre, per il settore culturale, una progettualità di lungo corso, che negli anni rendesse fruttuosi i sacrifici fatti per tanto tempo. Onestamente non vedo progetti ampi, di questo genere, per chi lavora nello spettacolo. Quindi mi auguro che cresca la consapevolezza di questo, ma è evidente che adesso la situazione di questa emergenza sanitaria è già da sola complicatissima, del tutto inedita, vedi anche solo le mille idee più o meno inapplicabili di cui si parla a proposito del ritorno in spiaggia. Figurati a risolvere questioni più complesse. Purtroppo si brancola nel buio in una situazione del genere».
Anche nei piccoli paesi è arrivato il virus. Come vede la reazione delle comunità?
«Io abito nella periferia di Bologna, ma non vedo differenze significative rispetto alle città. Prendiamo le stesse precauzioni e facciamo le stesse cose. Magari evitiamo la metropolitana, però i supermarket sono più stretti, le mascherine non si trovano e così via.…Il mondo globalizzato porta a questo e abbiamo visto con quale facilità ha fatto viaggiare il virus. Pensare che sarebbe rimasto confinato in Cina era una pia illusione. Un posto completamente sicuro, oggi, non esiste».
La situazione della quarantena si presta a una serie infinita di spunti comici. Però nel contesto di una tragedia sanitaria e di una pandemia che impatta già tantissimo anche a livello economico. Come si ride di questa cosa? Ci sono dei limiti?
«In teoria i limiti, nella comicità, non dovrebbero esserci. Ma nella pratica tutto dipende dal buon senso. Naturalmente sulla vita che conduciamo chiusi in casa l’ironia viene spontanea ed entro certi limiti è anche salutare. Ma qui siamo in un contesto in cui tanta gente ha perso affetti, amici e familiari. Diverse persone mi hanno detto “Chissà quanto avrai da scrivere, adesso, su questo situazione assurda”. E invece no. Non sto scrivendo niente. E sai cosa ti dico? Io mi auguro che non torneremo come prima. Mi auguro che almeno, questo periodo tremendo ci insegni qualcosa, ci faccia comportare in modo meno egoista. Spero che le videochiamate, i flash mob dal balcone e gli appelli all’unità lascino una traccia profonda e ci facciano superare gli egoismi privati. La speranza è questa, parliamo di un problema talmente grande che forse un cambiamento importante, nelle coscienze, potrebbe anche arrivare».
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