Riccardo Isola - La biodiversità, intesa in tutte le sue forme, anche dal punto di vista zoologico, è un valore sempre di più condiviso e apprezzato. Nel quotidiano e soprattutto sulle tavole. Una diversità che si fa concretamente anche gusto, sfumatura organolettica, cultura ed economia agricola. Lo sanno bene in provincia di Ravenna gli allevatori del suino autoctono per eccellenza: la Mora Romagnola. Di origini molto antiche, la presenza la si fa risalire, infatti, al periodo longobardo e dura, in modo costante, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Per quanto concerne le varietà di Mora, queste prendevano il nome, dal luogo di allevamento (forlivese, faentina, bolognese) oppure dalle caratteristiche del mantello (bruna, mora, castagnina).
Il vero e proprio nome di Mora compare però solo nel 1942. Stando alla genealogia, quella più diffusa, questo suino era quello che pascolava nelle province di Forlì e di Ravenna. Si trattava di un morfotipo con mantello nerastro, con tinte dell’addome più chiare. Tipologia che aveva proprietà fisiche e di gusto più attraenti e redditizie e che potrebbe essere figlia di incroci tra la Mora e la Chianina o Cappuccia (oggi estinta) che era stata introdotta su larga scala in Romagna per la sua eccellente attitudine al pascolo. Non sono mancati poi incroci, soprattutto nel Dopoguerra, tra Mora Romagnola e Large White. Nel corso degli anni novanta la razza è stata molto vicina ad estinguersi, basti ricordare che nel 1949 ne esistevano circa 22.000 esemplari fino ad arrivare, a cavallo del 2000, a meno di 15. Questi tutti presenti all’interno dell’azienda di un allevatore di Faenza, Mario Lazzari. Solo grazie all’attivazione nel 2001 del Registro anagrafico si è iniziato un lento ma progressivo recupero. Sul finire della prima decade del XXI secolo Sloow Food istituisce il Presidio dedicato al suino. Da qui la sua contemporanea fortuna. Oggi nel territorio ravennate sono presenti circa una dozzina di aziende, con gruppi medio piccoli di suini di Mora visto che il suo allevamento è di tipo semi brado, sui 33 registrati presso l’Anas (Associazione nazionale allevatori suini). Le più diffuse, la metà, sono nel brisighellese, due nel territorio casolano, una a Castel Bolognese, una a Bagnacavallo, una a Ravenna e una nella vicina realtà di confine con l’Emilia a Fontanelice (Bo).
Le principali caratteristiche delle carni, da macellare non prima dei 15 mesi di vita dell’animale, meglio se si aspetta fino ai 18, sono la sapidità, la morbidezza e la consistente presenza di tessuto adiposo (grasso) che è al contempo saporito e scioglievole. Le carni più scure rispetto alle altre tipologie suinicole denotano anche un leggero sapore ‘selvatico’ mai sgarbato o disturbante però. Da questi animali si possono ottenere, stando attenti però alla certificazione di origine, risultati entusiasmanti in ambito di stagionati (culatello, prosciutto, salami o la spalla cruda, ciccioli) ma anche in ambito di tagli freschi e pronti alla cottura (arrosti, braciole, spiedini, salsiccia). Imprescindibile per tutti i palati abituati ad approcci sensoriali gourmet è il ragù di Mora, n condimento di struttura, sapore e aromaticità molto intensa che si sposa perfettamente con la cucina tradizionale della Romgna, ovviamente con tagliatelle e paste all’uovo rigorosamente tirate al mattarello. Maggiori informazioni su: www.anas.it oppure www.slowfood.it.