Faenza, duecento ceramiche al Mic raccontano 3000 anni di brindisi e «gioie del bere»

Romagna | 26 Novembre 2021 Cultura
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Sandro Bassi
Oltre 200 oggetti, in gran parte provenienti dai depositi dell’istituto, compongono «Gioia di Ber», mostra al Mic di Faenza da venerdì 26 novembre al 30 aprile 2022, che si propone di raccontare usi e costumi del bere, dall’antichità fino ad oggi. Sì, perché il gesto apparentemente più semplice del mondo, quello di «versare», nasconde un’infinità di riti, di contenitori, forme e tipologie di oggetti che sono cambiati con le epoche, le aree geografiche, gli uomini e le loro esigenze.
«Partiamo dal mondo greco, etrusco e romano - precisa la curatrice Valentina Mazzotti - e arriviamo ai mutevoli sviluppi del design contemporaneo, con l’analisi delle forme ceramiche e del loro impiego sulla tavola e in tutti gli altri contesti sociali, lavorativi o ricreativi. Se il bere e il mangiare in compagnia fanno parte, da sempre, della natura umana, nondimeno ci sono forme ceramiche ricorrenti nei secoli: è il caso del boccale, la forma ceramica destinata per eccellenza a mescere i liquidi, derivata dall’oinochoe del mondo greco ma che nel Medioevo e nel Rinascimento assume caratteri morfologici peculiari, standardizzati in seguito in soluzioni di matrice popolare e che hanno infine trovato una nuova lettura nel design del ‘900».
Per un’idea dei pezzi in mostra, basta guardare l’esordio, coi banchetti romani eredi dei simposia greci ed etruschi, dove il consumo del vino aveva uno scopo alimentare, ma prima ancora rituale, afrodisiaco e ovviamente conviviale. Le varie forme - il grande cratere per mescolare il vino all’acqua o per aggiungervi spezie, miele o addirittura formaggio grattugiato, e poi attingitoi, filtri, vasi - sono dovute alla necessità di non bere il vino schietto, bensì allungato e/o corretto. Quest’ultima usanza era a sua volta dovuta a ragioni organolettiche - il vino puro era troppo denso e dal sapore sgarbato - ma anche di prudenza: lo scrittore greco Ateneo ci informa che non bisognava oltrepassare la terza coppa, potendo la quarta portare a violenza, la quinta alla chiassosità molesta e le successive a una degenerazione che avrebbe condotto, con la decima, alla follia e alla distruzione dei mobili.
Oltre all’impostazione tipologica, la mostra segue un percorso cronologico: dopo le ultime peculiarità tardo-antiche (una rara ciotola in «terra sigillata» e due anfore da trasporto navale), si passa a quelle bizantine «a vetrina pesante» e a beccucci pronunciati; per il Medioevo compaiono i beccucci a tubetto che potevano versare il liquido direttamente in bocca in modo graduale, senza contatto, ma soprattutto compare un vasellame da mensa con mille forme, dalla panata (boccale dal tipico beccuccio a triangolo e molto grande, adatto per la zuppa di pane secco) fino a quelli ad alto collo e bocca trilobata.
Per il Rinascimento vediamo interi servizi, ancora con ampia varietà di forme per la sempre più complessa organizzazione del banchetto, e anche di decorazioni: compaiono i busti femminili nel «vasellame amatorio» e infine si afferma il gusto narrativo tipico del genere «istoriato», con iconografie tratte dal mito o dalle Sacre Scritture. Particolarissima tipologia è quella dei «bevi dei puoi» o «inganna-villani», manufatti per l’intrattenimento scherzoso che rendevano possibile la degustazione solo con precisi accorgimenti, senza i quali il malcapitato ospite si sbrodolava o rimaneva a bocca asciutta.
A latere c’è il mondo della ceramica popolare, con forme più funzionali che stilistiche, quasi «senza tempo», dovute alle esigenze di trasporto e conservazione, del consumo dei cibi sul lavoro, nei campi o in viaggio; orci, boccali, brocche, mezzette, ma anche borracce e fiasche da pellegrino.
Si termina con il Liberty di Galileo Chini e di Achille Calzi, con il design di Giò Ponti e della Richard Ginori, con i virtuosismi di un maniaco della precisione come Anselmo Bucci e con le creazioni fresche e trasgressive di Guido Gambone. Chiude «col botto» - è il caso di dirlo -, una monumentale bottiglia in grés del grande Carlo Zauli.

 
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