Eraldo Baldini pubblica un romanzo Rizzoli ambientato nel 1630 e un saggio sui terremoti

Romagna | 30 Settembre 2019 Cultura
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Federico Savini
«L’uomo non si libererà mai delle paure, nonostante il progresso scientifico abbia avuto sostenitori così accaniti da pensarlo. Le paure cambiano, ma sono nella nostra natura. Ci sono forze che avvertiamo come inaffrontabili; natura e malattia sono fra queste ed è inevitabile averne paura». Prosegue incidentalmente su due binari l’inesausto lavoro di Eraldo Baldini sulla paura, i misteri ma anche le ricadute concrete dei flagelli sulla vita delle persone. Due binari perché ai primi di ottobre, quindi nei prossimi giorni, usciranno sia il nuovo romanzo dell’autore di San Pancrazio, La palude dei fuochi erranti (Rizzoli), che il saggio storico-antropologico L’orribile flagello - I terremoti in Romagna nel Medioevo e in Età moderna (Il Ponte Vecchio Editore). Libri con ogni evidenza diversi, ma che affondano comunque in temi e terreni comuni, in perfetta coerenza con il resto dell’opera del maestro romagnolo del gotico rurale. «La palude dei fuochi erranti è ambientato nel 1630, anno della peste - spiega Baldini -, quindi il contesto è assolutamente rilevante, così come il paese fittizio di Lancimago, che ho usato in altri romanzi, è un acquitrinoso enclave limitrofo alle aree paludose della Romagna».
Romanzo storico, ma decisamente venato di giallo e mistero.
«E’ proprio un giallo quello che sottintende e lega gli snodi della trama. Si parte da un’abbazia in cui si attende l’arrivo della peste. Il delegato del commissario apostolico, principale personaggio del romanzo, si occupa dell’allestimento di un cordone sanitario. Nella comunità, però, in quei giorni già così difficili, cominciano ad accadere cose inquietanti e un mistero prende corpo. La mentalità del tempo emerge nelle spiegazioni che i più si danno, ricondotte a interventi diabolici e stregoneschi. Se ci aggiungi la peste, il clima claustrofobico, la marginalità dei poveri, le paure ma anche i concreti interessi dei personaggi l’atmosfera si fa parecchio fosca…».
Abbazia ma anche cordone sanitario. C’è un dissidio fra scienza e religiosità?
«C’è un conflitto, che nel romanzo si incarna in particolare in uno scienziato che, nell’ombra, cerca di sperimentare qualcosa che verrà frainteso. Lo scontro culturale esisteva, ma diversamente da quanto accade in un grande romanzo come Il Nome della Rosa, in cui il conflitto muoveva proprio da temi ideali e filosofici, io mi interesso degli strali più bassi della società e non ho dubbi nell’individuare in precisi interessi economici le vere e concrete ragioni dei conflitti. Quelle comunità pativano freddo e fame, subivano gerarchie rigide, stentavano a campare. E c’era pure la peste! Il “mio” scienziato era troppo avanti e non viene compreso, anche perché la mentalità controriformistica permeava un’epoca che cronologicamente prelude all’Illuminismo ma in realtà fu una sorta di lunga appendice medioevale. Nel libro, il delegato apostolico è una persona intelligente e gravata dalle responsabilità, ma non immune alle contraddizioni di pensiero dell’epoca. Qui poi parliamo di una trama gialla in cui vengono ordite trame oscure ben precise».
Il saggio sui terremoti prosegue invece un lavoro di lungo corso.
«Più che trentennale, visto che parlai già in Paura e Maraviglia in Romagna e nella sua recente revisione Tenebrosa Romagna. Nel lungo excursus sui problemi più severi toccati in sorte nei secoli alla nostra comunità i terremoti occupano un poco invidiabile posto di fascia alta. La ricerca è stata certosina, perché se è vero che il materiale sulle epoche antiche è poco, ce n’è di converso tantissimo dall’età moderna in poi, tanto che questo è solo il primo volume della ricerca. Ho attinto a cronache, che all’epoca non erano per niente rare, e anche documenti amministrativi coi quali i governi cercavano di gestire le situazioni, e ad aiutarmi sul versante scientifico è stato Romano Camassi dell’Istituto Nazionale di Geofisica di Bologna. L’assoluto rigore della ricerca non lascia assolutamente in ombra la parte a cui tengo di più: il racconto di come le popolazioni vissero questi traumi. Emerge la mentalità dei tempi e uno spaccato sociale interessante per tutti, con tanto di dibattiti e attribuzioni delle colpe dei flagelli, tipicamente ricondotte dalla chiesa a punizioni per i peccati degli uomini».
Nell’introduzione si accenna alla veloce «perdita di memoria degli eventi traumatici». Il bombardamento mediatico dei social accelera questo processo?
«Il sovraccarico di informazioni rischia il cortocircuito, perché poi diventa difficile verificare l’attendibilità delle fonti e in generale si rischia di non dare il giusto peso alle notizie. Sul dimenticare i terremoti io penso però che dipenda soprattutto dal naturale dissolvimento della memoria “vivente”, col passare degli anni. E conta anche la geografia, visto che ad esempio nel ravennate non c’è grande ricordo dei terremoti di Santa Sofia. Raccontare i vecchi terremoti è, di converso, molto importante per il futuro, perché purtroppo dove c’è stato un terremoto è probabile ce ne saranno altri. E il futuro, in questo senso, va pianificato con razionalità, le precauzioni vanno poste in essere dove ce n’è bisogno. Non è, insomma, una memoria fine a se stessa ma utile al domani».
Ma oggi, in definitiva, abbiamo più o meno paure che in passato?
«Le paure cambiano, scienza e tecnologia non le hanno mai dissolte. Nell’epoca che racconto in La palude dei fuochi erranti il ruolo della religione era centrale nell’interpretare le paure, tanto più che nel nostro territorio il potere religioso coincideva con quello amministrativo. Quindi quelli erano tempi che non si possono raccontare senza riferimento all’azione quotidiana della chiesa. Le paure, comunque, anche dopo sono state tutt’altro che cancellate».
Rizzoli sta per ristampare anche L’uomo nero e la bicicletta blu, del 2011.
«Mi fa particolarmente piacere, anche perché la prova Invalsi delle V elementari quest’anno si basava su un passo di quel libro. Le scuole me l’hanno sempre chiesto, è adatto ad ogni età».
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