Elena Bucci racconta il film con Castellitto e lo spettacolo a Russi venerdì 10

Romagna | 10 Gennaio 2020 Cultura
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Elena Nencini
Lavorano insieme da quasi trent’anni, Elena Bucci e Marco Sgrosso, e, dal 1993, ufficialmente sono Le Belle Bandiere con base, inizialmente, al teatro Comunale di Russi, poi dal 2005 hanno stretto un rapporto di collaborazione con il Centro Teatrale Bresciano con cui hanno prodotto molti spettacoli, tra cui L’anima buona del Sezuan e  Ottocento. Tuttavia il rapporto con Russi non si è mai realmente interrotto, tanto che venerdì 10 (ore 20.45) proprio lo spettacolo dedicato al XIX secolo sarà rappresentato al Teatro comunale.
A raccontarci lo spettacolo e i suoi progetti per il futuro è proprio Elena Bucci, che nel suo palmarès ha un Premio Hystrio nel 2018, un Ubu come migliore attrice e il Premio Eleonora Duse nel 2016.
Perché la vostra scelta è caduta sull’Ottocento?
«Continuiamo a lavorare sulla memoria come fattore di rinnovamento e abbiamo pensato a provare a sfatare dei luoghi comuni. Spesso si pensa all’Ottocento come polveroso, lontano, mentre invece è un secolo dove si trova la matrice di grandi ideali di rinnovamento, di libertà, di rivendicazione dei diritti, delle lotte dei contadini; il teatro è diventato luogo di libertà politica, di storie meravigliose. Sono anni di grandissima vitalità e fiducia negli ideali, oggi abbiamo un grande desiderio di credere, ma non ci riusciamo più, che sia la relgione, la politica o un progetto. Ricordando il passato ci sembrava di poter restituire questa speranza».
I due protagonisti ad un certo punto esclamano: «Ma manca Leopardi, Manzoni, mancano gli italiani!». Come mai?
«Abbiamo pensato che lo spettacolo doveva essere come se si aprissero delle porte che mostrano bagliori, che fanno venire voglia di andare oltre. Bisognava andare lontano dagli italiani in un momento in cui il sogno dell’Europa vacilla e non dovrebbe essere così. Non ci sono altre vie, l’idea di Europa va lavorata, discussa, ma non messa in crisi. Abbiamo sentito questo bisogno di allargare fino alla Russia, alla Germania, all’Inghilterra per condividere un sentire. Una spinta irrazionale all’inizio, ma poi si è fatta sempre più razionale. Allargare lo sguardo all’Europa ci ha permesso di rivalutare il nostro passato, la nostra memoria e di ricordare gli ideali che vanno condivisi e difesi. Del resto Brescia ci ha già chiesto una seconda parte di “Ottocento”».
Come in altri spettacoli avete scelto una scenografia molto semplice.
«Si, come sempre, semplice ma allo stesso tempo molto difficile. Non facciamo scene dispendiose, difficili da trasportare, ma ci affidiamo alla magia del suono, delle luci. Lo spazio è piccolo, con qualche velo, come se si animassero delle stanze diverse. La peculiarità in sè del teatro è lavorare sull’essenziale, ma è anche un lavoro interessante nella quotidianità: bisogna lasciare cadere quello che non serve. Nella vita e nell’arte».
Dopo l’esordio a Brescia, tornate a casa con questo spettacolo.
«E’ stato creato a Brescia come un esperimento, poi ha avuto una vitalità tutta sua ed è bello ritornare nel teatro di Russi. E’ bello sentire l’appoggio, ritrovare un abbraccio».
Una delle eroine dello spettacolo le sta particolarmente a cuore?
«Sono storie scritte meravigliosamente, è quasi impossibile rispondere. Ma mi accorgo che il lavoro e i personaggi cambiano da prova a prova. Ogni volta che saliamo sul palco con Marco (Sgrosso nda) ci accorgiamo di sfaccettature diverse. Ad ogni prova prende luce un personaggio o un altro. Alle volte Anna Karenina, un’altra la Bovary: ci sono anime diverse che parlano. Nel finale mettere insieme la contadina di Tolstoj e Anna Karenina  mi emoziona tantissimo. Al di la delle differenze sociali, di carattere, morali e sociali sento proprio come l’umanità venga fuori con una potenza, che esalta una carateristica femminile - capacità di sopportare - che passa attraverso i secoli».
Nel frattempo ha girato il film «Il cattivo poeta» sugli ultimi giorni di vita di D’Annunzio con Castellitto.
«É un bellissimo lavoro, molto denso, si sente la rinascita di un cinema italiano di qualità, la fotografia è di Daniele Ciprì, il set era pieno di attori giovani e attori d’esperienza. Siamo stati quasi un mese sul lago di Garda, sembravamo una compagnia di teatro che faceva cinema. Interpreto Luisa Baccara, la padrona di casa del Vittoriale, molti anziani l’avevano conosciuta e se la ricordavano. Ha lasciato una bella scia, mi trattavano come se fosse lei. Peccato che conflagrino le necessità di teatro e cinema, ho dovuto annullare certe date di alcuni spettacoli. Poi ho fatto una parte nella serie televisiva Romulus, prequel del “Primo re”, anche se è molto difficile incastrare il teatro con l’impegno costante di una serie tv».




 
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