Elena Bucci arriva al Ravenna Festival con una nuova produzione «Nella lingua e nella spada»

Romagna | 12 Luglio 2019 Cultura
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Elena Nencini

Difficile raccontare di Oriana Fallaci e di Alekos Panagulis, lei scrittrice brillante, autoritaria, controversa e lui eroe solitario, fuori dalle regole, controcorrente. Eppure Elena Bucci, l’attrice di Russi che continua, imperterrita a far man bassa di Ubu, ha scelto di ‘inguaiarsi’ come racconta in questa intervista.
Venerdì 12 luglio, ore 21, al Teatro Alighieri va in scena Nella lingua e nella spada, un progetto di musica e teatro ispirato alle vite e alle opere proprio della Fallaci e di Panagulis, dove la poliedrica russiana è sia attrice che regista. Insieme a lei, sul palco anche Michele Rabbia alle percussioni e Paolo Ravaglia al clarinetto. Le musiche sono di Luigi Ceccarelli.
Bucci, qual è stato il primo approccio con la figura di Panagulis?
«E’ avvenuto molto tempo fa: dopo la maturità sono partita per la Grecia e avevo con me proprio il libro della Fallaci. Sono passata dai luoghi della Grecia di cui Fallaci parlava nel libro Un uomo in un momento della mia vita importante. Era il mio affaccio al mondo, un viaggio importante accompagnato dalla scrittura rigorosa di Oriana. Venivano messe in campo una serie di domande che sono rimaste nella mia memoria in maniera forte, indelebile. Quando il festival mi ha chiesto un progetto sulla Grecia non ho potuto che pensare a questo. Ho ricordato l’amore per la Grecia, l’emozione di fare quel viaggio, di avere questo libro che parlava di un greco che lottava per la libertà. È un libro che autorizza la libertà di pensiero e poi volevo togliere di dosso a Oriana tutto quello che le viene buttato addosso».
Un lavoro impegnativo…
«Mi sono andata a inguaiare, ma non me ne accorgo mai fino a che non ci sono completamente dentro. Ci sono delle domande molto speciali legate a questo spettacolo e al libro della Fallaci: cosa significa fare politica, cosa significa il terrorismo, che cos’è la lotta al terrorismo. Sono milioni le domande che mi si sono poste preparando questo lavoro. Ho fatto molte ricerche documentarie, poi ho strutturato il testo in base alla musica che mi andava a proporre Luigi (Ceccarelli nda). Non potevo scrivere indipendentemente dalla musica. Non ho potuto chiudere finché non è stata scelta la musica. Abbiamo lavorato insieme come fanno i jazzisti, i musicisti.
Panagulis in carcere si trasforma attraverso la poesia e i suoi pensieri ci arrivano attraverso un distillato delle sue poesie. Fallaci ne fa un eroe in un un momento storico e politico non facile. Mi colpisce sempre la trasformazione artistica come strumento forte di cambiamento, di catarsi».
Che tipo di regia ha realizzato?
«Ci sono tanti piani drammaturgici che si incastrano in questo spettacolo. Non volevo fare una apologia o un santino di Panagulis ma, in un epoca in un cui l’oblio è dietro l’angolo, mi piaceva affondare in questo materiale senza paura, adottando una drammaturgia traslucida, non scolpita, spero non retorica. Volevo riflettere su certi temi in modo emozionale, non razionale. Mi piacerebbe restituire la figura di Panagulis con semplicità. Sul palco interpreto tanti personaggi: c’è una io che non sono io, un io teatrale; c’è Panagulis, c’è Oriana. Ogni tanto emerge un ritratto che prevale sugli altri, anche se è una complessità difficile da gestire. Un po’ mi faccio cantastorie, un po’ pongo domande. Tutto per per poter raccontare una storia che passa da un dialogo a un monologo, a questa io che non sono io, a quella che chiede e domanda».
Cosa le è rimasto di quel viaggio in Grecia?
«Io volevo raccontare la storia di un uomo che non si fa imprigionare da nessun potere, che lotta in nome di quella malattia che è la mancanza di libertà. La cosa scioccante che mi colpì in quel viaggio era come nell’arco di pochi anni faticavo a vedere i segni di quello che era successo. E’ vero, era il mio primo viaggio importante, da sole, io e la mia compagna di banco. Ricordo un’Atene nera, un po’ devastata, cupa. Ma non era facile leggere i segni, bisogna riflettere su come la storia eclissi velocemente certi episodi, ma come questi possano ritornare naturalmente. La grande battaglia di Panagulis è stata quando cade la giunta, lui cerca dove permane il male nella nuova democrazia apparente. La ragione della sua solitudine è proprio in questo: combattere chi agisce nell’ombra, i veri potenti. Una battaglia solitaria. Ho cercato di rendere i miei personaggi ironici, vitali spiritosi, come in effetti erano. Fallaci di questo libro è molto diversa da quella vecchia, malata, rabbiosa. Così come Panagulis non si arrende mai, ha sempre una battuta».

 
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