Cucina, il castrato è principe e simbolo della tavola romagnola

Romagna | 17 Maggio 2018 Le vie del gusto
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Il Castrato di Romagna, in romagnolo «e castrè» ha una doppia valenza linguistica in terra di Romagna. Con il termine, infatti, l’ovino maschio (quasi sempre di razza Bergamasca e Biellese appenninica) che ha subito la castrazione in giovane età e il tipo di carne (di tipologia rossa) da esso ricavata. Una modalità voluta al fine di favorire la migliore e maggiore assimilazione degli alimenti e quindi uno sviluppo più veloce delle carni. In questo modo lo scheletro dell’animale rimane più leggero e di conseguenza la sua carne più tenera e sapida. La macellazione, per ottenere i tagli migliori, avviene con un peso dell’ovino compreso tra i 60 e i 90 chilogrammi, a circa due anni circa di vita.
Il castrato di buona qualità ha carne color rosso porpora e grasso bianco madreperlaceo, masse muscolari tondeggianti, coscia molto rotonda. I tagli della sella, carrè (le costolette) e cosciotto (la braciola) vengono cotti arrosto e alla griglia (conditi con il tradizionale battuto formato da aglio, rosmarino, olio e sale grosso) mantenendo, per caratteristiche proprie e per metodo di cottura, una gustosa morbidezza. I tagli relativi alla spalla e al petto, sono per lo più utilizzati, nella tradizione culinaria del territorio, in umido.
Il castrato di Romagna, diffuso fin dai tempi antichi grazie alla predilezione dei Romani e Bizantini verso questa tipologia di carne animale per l’alimentazione, è oggi garantito dal marchio Qualità Controllata (QC).
Per quanto riguarda l’abbinamento con il vino imprescindibile, nella terra del Passatore, è quello di accompagnarlo con un Sangiovese, meglio se di tipologia Superiore.
Infine dal 17 al 21 maggio, per chi voglia provare di persona, a Fossolo di Faenza, si tiene il tradizionale appuntamento gastronomico dedicato al castrato con diversi piatti e preparazioni sul tema.

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