Collina, si preannuncia una stagione autunnale con un  forte calo di produzione dei marroni

Romagna | 28 Settembre 2019 Cronaca
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Riccardo Isola, Sandro Bassi - «Se tutto va come quello che stiamo riscontrando ora, credo che la stagione 2019 per la castanicoltura della valle del Senio non sarà di certo un’annata da ricordare. Stando alle prime stime potremmo arrivare anche a picchi di -50% della produzione di marroni rispetto al 2018». Questo il commento del presidente dei castanicoltori dell’associazione della valle del Senio, Giuseppe Pifferi. Circa 400 ettari  per una media, quando gli anni sono buoni, di oltre 4mila quintali di prodotto. Ma il 2019 non sarà così. Le cause sono diverse. Lo conferma lo stesso Pifferi: «Se da una parte la nostra area sta reagendo molto bene al cinipede, anche perché ci siamo mossi come sistema in modo chiaro e coordinato, dall’altra problemi, questa volta di natura climatica, ci stanno mettendo i bastoni tra le ruote. Prima la grande acqua di maggio e giugno che ha fermato l’alleggagione, poi il troppo caldo di questi giorni, senza contare che la neve del 2017 ha distrutto numerosi nuovi rami, ci portano a pensare che la raccolta del 2019 sarà molto inferiore rispetto al passato. E’ ancora presto per poter fare delle stime certe, anche perché la raccolta verrà posticipata di almeno 7/8 giorni, ma non esageriamo se vedremo un calo del 50% rispetto allo scorso anno. In più - aggiunge - se ci si mette anche la muffa, un problema tutt’altro che risolto, allora la questione inizia a diventare seria». La castanicoltura in collina è ambito strategico per numerose aziende. Risolverne i problemi, stagionali e strutturali, è diventato un imperativo quanto mai imprescindibile. Non solo per questioni meramente economiche ma anche culturali, ambientali e  turistiche. Basti pensare che sono circa 200 i produttori disseminati tra le valli del Santerno, Senio, Sintria e Lamone, forti dei loro quasi 3.000 ettari di castagneti (2.000 nel territorio dell’Alto Mugello, di cui 5/600 a produzione Igp, oltre 600 in quello di confine con la provincia di Ravenna). Per fare il punto sulle azioni intraprese dal mondo della politica regionale e da intraprendere a sostegno della castanicoltura, per approfondire e discutere le tematiche con i castanicoltori, con le organizzazioni professionali agricole, il Comune di Casola Valsenio ha deciso di organizzare un incontro pubblico, al quale sarà presente anche l’assessore regionale Simona Caselli, nella giornata di mercoledì 2 ottobre, a partire dalle 17, nella sala Nolasco Biagi della Biblioteca in via Cardinal Soglia.

L’albero del pane, ma anche della «naturale» bellezza

Cominciamo pure col dire che il castagno (Castanea sativa) è uno degli alberi più belli del nostro territorio. Anche se non è autoctono. Dopo un lungo dibattito, la quasi totalità dei botanici concorda nel ritenerlo introdotto da Oriente fin da tempi antichi; furono quasi certamente i Romani, che lo conoscevano e lo apprezzavano (ipotizziamo l’avessero avuto dai Fenici) a piantarlo su larga scala in una fascia collinare-montana compresa fra 4-500 e 8-900 metri; ovvio che in alcune zone ci siano significative eccezioni: ad esempio sull’Etna il castagno «sale» fino a 1.500 metri o anche più; su particolari terreni acidi, a lui non sgraditi, può invece «scendere» fin quasi alla pianura: è il caso dei suoli vulcanici dei Colli Euganei, presso Padova (dove forse è autoctono), oppure, guarda caso, delle «sabbie gialle» romagnole, dall’imolese fino al faentino e con punte anche nel forlivese. Vista la non ottimale vocazione agricola di questi suoli, poveri di calcio e magnesio, l’uomo ha preferito localmente (soprattutto nelle pendici più ripide ed esposte a nord, quindi fresche) mantenere il bosco, ma trasformandolo da querceto a castagneto. Nel faentino la cosa è riscontrabile nei castagneti «relitti» (si dice proprio così, perché rimasti da epoche passate) di Castel Raniero, Pergola, Monti Coralli. Nell’imolese presenze storiche di castagno si trovano alla Frattona, proprio alle porte della città, e nel forlivese a Scardavilla di Meldola. E’ chiaro però come queste fossero (e siano) eccezioni, perché di regola il castagno vuole clima montano, con una certa umidità - precipitazioni superiori ai 1.000 mm annui - e frescura. Le zone di Marradi e Palazzuolo ricadono in questo optimum botanico. Il castagno era notoriamente il pane del montanaro, ma serviva anche a fare quei pochi mobili che gli servivano (nei musei contadini dell’Appennino si vedono tavoli e armadi in castagno, rustici ma assai belli). Ultima nota: questa specie è longeva e raggiunge grandi dimensioni quindi non sono rari gli esemplari monumentali: il più famoso è a Camaldoli, con un tronco cavo (dentro c’è un tavolo e due panche) di ben 11 metri di circonferenza, ma di tutto rispetto è anche il castagno dei Prati Piani, sopra Palazzuolo, e tutti quelli dei più vecchi «marroneti» di Marradi, soprattutto in autunno quando alla maestosità del tronco si aggiunge l’oro delle foglie.     
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