Ciclismo, intervista al ct azzurro Cassani: "Gimondi, Prato e le imprese di Pantani: maggio è il Giro, quest’anno mi sento più vuoto"

Romagna | 08 Maggio 2020 Sport
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Luca Alberto Montanari
Budapest, sabato 9 maggio 2020. Prima che un virus e di conseguenza una pandemia rivoluzionassero improvvisamente la nostra vita e il nostro calendario, sabato 9 maggio 2020 sarebbe dovuta essere la data di partenza del Giro d’Italia numero 103, al via proprio da Budapest per un weekend magiaro scoppiettante e con la prima maglia rosa da assegnare. Da lunedì scorso, nella capitale ungherese, sarebbe salito anche Davide Cassani, ma ovviamente anche l’attuale commissario tecnico della Nazionale è stato costretto a rimanere a casa a causa del rinvio del Giro. E lunedì scorso non è salito sull’aereo per Budapest, ma sulla sua bicicletta dopo diverse settimane di lockdown.
Cassani, doveva essere la settimana del Giro d’Italia, è invece la settimana delle prime uscite in bici. Come si sente?
«Mi sento un po’ scosso, perché se non fosse successo nulla oggi mi troverei in Ungheria pronto ad assistere alle prime tappe del Giro. Invece, come è successo nelle ultime settimane praticamente a tutti, la mia agenda è stata stravolta e ripulita di tutti gli impegni. E quindi mi sono dovuto accontentare di fare quello che aspettavo da tanto tempo: un giro in bici».
Per la prima volta da quando è nato e soprattutto da quando ha cominciato ad innamorarsi della bici, il 2020 è il primo anno senza Giro d’Italia a maggio. Cosa significa per lei?
«Per me non è maggio, non è primavera, non è l’estate che sta arrivando. Sento che mi manca qualcosa, l’evento più bello, quello che non mi stanca mai. Per me maggio è il Giro e quest’anno, per la prima volta, è un mese vuoto».
Maggio è il Giro e il Giro, per lei, cosa rappresenta?
«La corsa dei sogni, un evento straordinario che per quasi un mese unisce tutta l’Italia e tutta la gente. Il Giro è una festa nazionale, entra nelle case di tutti, anche di chi non sa nulla di ciclismo. Sfido a trovare una persona che non sia mai stata almeno una volta sulla strada o sotto casa ad aspettare il Giro. Quando passa, ci siamo tutti ad aspettare».
Qual è il primo Giro al quale ha assistito personalmente?
«Giro d’Italia 1970, tappa numero 13, da Loreto a Faenza. Avevo 9 anni, mio padre Vittorio mi portò sul ponte del Lamone, a due chilometri dal traguardo, a vedere i corridori. E’ stata la mia prima corsa dal vivo. Ricordo che si arrivava allo stadio, ma non su un velodromo come capita oggi, bensì sulla pista d’atletica, dove tutto diventava molto più difficile. Vinse Michele Dancelli, ma io cercavo Gimondi, il mio campione preferito».
Lo trovò all’arrivo?
«Purtroppo no. Così, per incontrarlo, chiesi a mio papà di andare al Molino Rosso a Imola, dove c’erano tanti corridori. Ma non lo trovai neppure in hotel. Però, in compenso, il Giro aveva trovato me ed io ero già innamorato del ciclismo».
Lei al Giro è stato corridore, commentatore e oggi commissario tecnico.
«Ho partecipato a 12 Giri da corridore e a 16 Giri da commentatore televisivo al fianco di Adriano Dezan, Auro Bulbarelli e Francesco Pancani. Poi naturalmente ci sono gli ultimi, da commissario tecnico della Nazionale».
Apriamo l’album dei ricordi: da ciclista qual è il ricordo più bello che conserva?
«La prima tappa vinta, nel 1991 a Prato, ma anche il Giro d’Italia 1986 vinto da Visentini, il mio compagno di camera. E infine la mia prima tappa, la crono a squadre a Milano del 1982».
Qual è, invece, il suo ricordo più bello da commentatore?
«Al primo posto metto la tappa di Montecampione nel 1998, con il celebre duello tra Marco Pantani e Pavel Tonkov. Dovessi completare il podio, invece, farei molta fatica perché ci sono tantissime tappe memorabili. Di sicuro metterei quella del Sestriere con Savoldelli, De Luca e Simoni nel 2005».
Infine, il ricordo più bello da ct?
«Giro d’Italia 2016, sotto l’Agnello un meraviglioso Scarponi si ferma, aspetta Nibali e lo accompagna alla vittoria del Giro. Bellissimo».
Che Giro d’Italia sarebbe stato quello di quest’anno?
«Un Giro d’Italia bello, combattuto, quasi impronosticabile, con un astro nascente di 20 anni come Evenepoel da valutare, un Nibali che nonostante l’età sarebbe stato ancora il punto di riferimento per noi italiani, con i nostri velocisti agguerriti, e con un Ciccone da vittoria di tappa. Mi auguro di vedere tutto nel mese di ottobre, ma per ora non ci sono certezze per colpa di questo maledetto virus».
Cosa cambierebbe, per un ciclista professionista, correre il Giro ad ottobre?
«Significherebbe tornare alla normalità. Tutti siamo preoccupati, tutti non sappiamo come e se ripartire. Se avranno la possibilità di correre, il Giro ad ottobre sarà innanzitutto una liberazione. Ma oggi siamo tutti spiazzati, perché siamo appena tornati in bici ma non sappiamo assolutamente cosa fare e come farlo e soprattutto non possiamo programmare, un verbo fondamentale nella stagione di un ciclista professionista».
Due mesi sui rulli cosa lasciano a un atleta?
«Ti permettono di mantenere una buona condizione fisica, di fare un po’ di gamba, di pensare che il giorno che tornerai farai meno fatica. Ma dal punto di vista psicologico ti esauriscono. I rulli sono noiosi, difficili, un esame per la nostra testa».
In questi due mesi cosa le è mancato di più?
«La tranquillità. La mia quotidianità. Incontrare la gente e abbracciare gli amici, seguire una corsa, vedere il telegiornale sperando di sentire qualcosa di non drammatico».
Cosa le sta insegnando questa quarantena?
«E’ una lezione, certamente, come del resto lo è qualsiasi difficoltà. Mi sta insegnando innanzitutto due cose: l’importanza della salute e il rispetto del prossimo».
Lunedì tutti i ciclisti su strada sono tornati in bici. Quali sono le raccomandazioni che si sente di fare a tutti, dal professionista al cicloamatore alle prime armi?
«Restare da soli, restare da soli, restare da soli. Noi ciclisti ci stiamo giocando una fetta della nostra reputazione e non possiamo sbagliare il nostro esame. La maleducazione di qualcuno si ripercuoterebbe su tutti gli altri. Per tutti noi, spesso insultati dagli automobilisti, è una prova di maturità da non fallire. Teniamo gli occhiali e una mascherina a portata di mano, pedaliamo con prudenza. Il futuro della nostra salute dipende da noi».
Qual è il primo percorso che ha fatto lunedì?
«Monticino, Montalbano e Casola, poi sono tornato a casa. E’ stato bellissimo e mi sono gustato la natura da solo e in silenzio».
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