Castoro, porte aperte anche alle ragazze con la versione touch, senza placcaggio del rugby manfredo

Ginevra Fabbri - Contatto fisico, strategia e spirito di squadra, sono queste le caratteristiche peculiari di uno sport nato in Inghilterra all’inizio del diciannovesimo secolo: il rugby. Esistono diverse varianti, tra cui il rugby a 15 e il rugby a 7, quest’ultimo anche disciplina olimpica. Oggi è particolarmente popolare in paesi come Nuova Zelanda, Sud Africa, Inghilterra, Francia e Australia. A livello globale, sta crescendo anche in nazioni emergenti grazie a iniziative dell’organismo World Rugby. I Mondiali di questo sport attirano milioni di spettatori e promuovono valori come il rispetto e la lealtà. In Italia, è in crescita ma resta sport di nicchia, poiché non molto pubblicizzato e valorizzato. Nella nostra città questo sport è arrivato nel 2007, grazie ad Andrea Sirotti, presidente e fondatore del club Faenza Rugby. Uno dei primi giocatori è stato Gabriele Benini, informatico e rugbista da vent’anni. «Il rugby è lo sport di squadra per eccellenza, perché è uno sport di combattimento e di unione», spiega Benini. «Quando si dice ‘contatto’ si pensa al ballo, ma qui il contatto è reale, duro. Ed è proprio per questo che la disciplina è fondamentale». Nella visione del rugby, la disciplina non è dunque solo un regolamento da rispettare, ma un modo per stare al mondo. «Rispetti il compagno e rispetti l’avversario. Senza regole si rischia l’infortunio e l’uscita dal campo. Con le regole, invece, si impara a convivere». La filosofia di gioco si basa sul sostegno, che può essere tecnico, come il passaggio all’indietro, tipico del rugby, che obbliga alla cooperazione, ma anche emotivo e umano. «Quando sei stremato e non ce la fai più -aggiunge Benini- è il compagno a portarti avanti, fino alla meta. Se uno della squadra non è felice, non si arriva al fischio finale». Il concetto di fair play nel rugby, da come si può capire, è più di una regola: è un tassello a sé stante. «L’arbitro non si contesta - dice Sirotti- per nessun motivo o ragione, chi lo fa viene punito con severità. Non solo con sanzioni, ma perdendo metri di campo, possesso della palla e credibilità». Anche un solo fallo, per le ligie regole del rugby, viene ammonito con un cartellino giallo, che comporta dieci minuti fuori dal campo. «Giocare in 14 invece che in 15 è un peso enorme per la squadra. Quindi si impara a rispettare le regole per sé e per gli altri». Il Faenza Rugby negli ultimi anni ha affrontato due eventi, in particolare, che lo hanno messo a dura prova: il Covid e l’alluvione del 2023. «L’alluvione non ha colpito direttamente il nostro impianto, ma il Covid ci ha devastati» racconta Sirotti. «Per un club piccolo come il nostro, dove il reclutamento è faticoso, perdere quasi tutte le giovanili è stato un colpo durissimo». È stato nel periodo dell’alluvione che i giocatori rimasti hanno dimostrato il loro lato più nobile. «Hanno rinunciato a una finale regionale per aiutare a spalare fango» ricordano i due con orgoglio. «Hanno lavorato instancabilmente e non da soli. Anche le squadre avversarie, dal Carpi al Benetton e al Treviso, sono arrivate a Faenza con i loro giocatori per dare una mano». Un gesto che è valso al Faenza Rugby il premio fair play del Panathlon 2024. «Nel rugby giocano tutti, senza distinzioni». È l’idea che più viene ripetuta anche da Gabriele Benini, che si dedica anche alla componente femminile. «Fino all’Under 14 -continua- le ragazze giocano con i ragazzi e spesso sono più brave, più attente, più sveglie». La partecipazione femminile è ancora limitata, quest’anno solo due rugbiste, poiché questo rimane uno sport di contatto non leggero, anche se, ultimamente, una nuova versione dello sport inglese ha preso piede: il touch rugby, variante meno fisica, senza placcaggio. Ed è proprio il touch rugby che ha portato le giocatrici faentine dagli 11 ai 14 anni alle finali nazionali dei giochi sportivi studenteschi. Giocare a rugby è quindi alla portata di tutti, ma c’è una condizione che va sempre rispettata: non avere paura di entrare in campo. «Certo, il fisico conta -riprende il presidente Sirotti- ci sono ruoli per i forti, per i veloci, per gli alti, per i rapidi. Ma il vero spartiacque è il coraggio. Se hai paura di farti male, non puoi farcela. Se sei determinato, invece, il corpo e la mente si adattano». È in questo modo, infatti, che in campo possono convivere mediani di un metro e 60 e giocatori di un metro e 90 per 140 kg. «Entrambi fondamentali, a patto che si allenino» sottolinea Benini. Allenamento che si rivela poi essenziale in partita. «Se non ti alleni, rimani indietro. Qui non si bara. Se non ci sei con la testa e col corpo, ti fai male» confermano gli intervistati all’unisono. Allenarsi toglie però tempo allo studio, risulta quindi difficile mantenere una carriera sportiva di alto livello ed eccellere nella vita scolastica. «Per i liceali è tosta -dichiara il dirigente- anche perché non tutti riescono a ricevere lo status di studente atleta. Ma a livello universitario è fattibile: basta organizzarsi e noi cerchiamo di aiutare i ragazzi anche in questo. Nel rugby c’è meno pressione rispetto ad altri sport e quindi è possibile dedicarsi anche ad altre attività». Un altro particolare, forse non conosciuto, di questo sport è il terzo tempo, quello in cui, finita la partita, si mangia e si dimenticano le tensioni. «È il momento più bello -racconta Benini- perché a tavola non ci sono distinzioni, che tu sia arbitro, compagno di squadra o avversario».