Bagnacavallo, alle Cappuccine la prima tappa dell’antologica sui 100 anni di Giulio Ruffini

Romagna | 18 Febbraio 2021 Cultura
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Federico Savini
Vibra di tensioni di ogni tipo l’arte di Giulio Ruffini, pittore tra i più grandi del Novecento bassoromagnolo sul quale ha puntato il museo civico delle Cappuccine di Bagnacavallo per una delle primissime iniziative espositive propriamente del 2021, e non in recupero dall’autunno che si sperava post-pandemico e che invece ha visto una nuova chiusura dei musei. Contingenze spiacevoli a parte, la prima grande mostra dell’anno a Bagnacavallo (in partenza venerdì 19 febbraio) raduna una settantina di opere di Ruffini, che quest’anno avrebbe compiuto 100 anni, ripercorrendone la produzione dei primi anni, quindi dalla formazione alla scuola Varoli fino al cruciale 1967, anno del ripiegamento dell’artista verso forse espressive più tipiche del realismo, con solo qualche virata nel surrealismo e un’introspezione via via più nostalgica.
E dire che Ruffini parte comunque dal realismo, ma da subito il suo sguardo è militante - commenta il curatore Diego Galizzi -. La Romagna delle campagne e dei braccianti viene restituita da Ruffini con uno sguardo diretto e partecipe. In questo primo periodo il suo personale racconto popolare riesce a ritagliarsi un ruolo di primo piano nelle dinamiche dell’arte nazionale, in particolar modo tra i fermenti neorealisti dei primi anni Cinquanta».
Giulio Ruffini. L’epica popolare e l’inganno della modernità (1950-1967) (questo il titolo della mostra) espone anche le opere probabilmente più celebri del pittore che visse tra Villanova, Mezzano e Ravenna: la Pietà per il bracciante assassinato (1952), con la quale l’artista trentenne vinse il Premio Suzzara, affermandosi a livello nazionale, la superba Crocifissione del 1954, di stampo guttusiano, e i tre dipinti con i quali partecipò alla XXVII Biennale di Venezia.
Fin dal ciclo delle Crocifissioni le tensioni inizialmente soprattutto socio-politiche di Ruffini - la cui poetica è sempre attenta al quotidiano e nasce come diretta espressione della sua terra e delle sue radici - diventano propriamente ‘linguistiche’, tanto che il suo stile si inarcherà in direzione dell’informale, «mantenendo però al centro l’uomo e la sua dignità - come illustra la presentazione della mostra -, rivendicandone i diritti mentre si fa capo dei suoi patimenti, delle angosce e dei soprusi imposti dalla nascente civiltà industriale».
A rendere vibrante tutto il percorso pittorico di Ruffini è quindi non solo la tensione tra le diverse forme linguistiche che l’artista adotta negli anni, ma anche la problematica riflessione sul territorio che si trasforma. A metà degli anni ’60 - dunque nell’ultimo periodo preso in esame dalla mostra bagnacavallese - al centro dell’obiettivo di Ruffini ci sono gli «incidenti» e l’intrusione dei «simboli pop» della civiltà industriale all’interno del paesaggio contadino. I colori sembrano sfuggirgli di mano mentre il pittore dà conto, con dipinti di grande impatti, della fine dell’etica e dell’epica del lavoro dei campi a cui guarderà per tutta la sua esistenza (pur facendo seguire all’espressionismo di questa fase ripiegamenti di massima e malinconica introspezione). Chissà cos’avrebbe pensato Ruffini del mondo digitale di oggi, che la geografia la sta letteralmente cancellando.
L’esposizione - prima tappa di un’antologica che toccherà poi Bologna, Rimini, Faenza, Lugo e Ravenna, dove saranno approfonditi altri periodi della produzione artistica di Ruffini - è a ingresso gratuito, visitabile fino al 2 maggio lunedì a mercoledì ore 15-18; giovedì 10-12 e 15-21; venerdì 10-12 e 15-19.
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