Anita Rivaroli tra il «doc» sui Rockin’1000 e la serie teen «Summertime»

Romagna | 02 Maggio 2020 Cultura
anita-rivaroli-tra-il-doc-sui-rockin1000-e-la-serie-teen-summertime
Federico Savini
«Prima erano i sorrisi, le cotte e un po’ di gelosia. Poi sono arrivati il sesso, l’alcool e le dipedenze. E oggi le storie sono sempre più crude, ma anche più profonde». Mezzo secolo di serie teen, ossia di telefilm dedicati agli adolescenti, nelle paole di Anita Rivaroli, regista di Cervia che negli ultimi anni abbiamo imparato a «legare» al fortunato progetto social-musicale dei Rockin’1000, ma che da tempo si muove da professionista - in particolare come sceneggiatrice - nel mondo delle serien tv per adolescenti. Un universo narrativo più che mai vitale, che ha in concreto toccato la nostra provincia (alcune ambientazioni della serie Summertime partita il 29 aprile su Netflix, di cui Anita è tra gli sceneggiatori) e che vale come prospettiva privilegiata per indagare il mondo dei giovani. Di ogni generazione.
Ma prima di addentrarci nel lavoro di Anita sulle serie teen val la pena sottolineare la valenza del progetto Rockin’1000 - quello di cui proprio Anita ha girato il video di lancio nonché il documentario pronto per l’uscita - che è riuscito a legare generazioni diverse applicando un lucido utilizzo dei social network a un mito - quello dell’utopia dei grandi raduni musicali - che data indietro oltre 50 anni fa, il tutto a partire da una band, i Foo Fighters, che rappresenta bene la generazione dei quarantenni. Un’esperienza che meritava di essere raccontata con un documentario, la cui presentazione era prevista al grande festival americano Sxsw, a Austin in Texas, cancellato però dal Coronavirus.
«Il Sxsw è uno dei festival più riconosciuti a livello internazionale - racconta Anita Rivaroli - ed era l’occasione perfetta per l’anteprima mondiale di We are the thousand, il nostro documentario, unico progetto italiano in concorso. L’emergenza globale ha fermato tutto e ci ha costretti a riformulare un piano di distribuzione del film. Ci rimbocchiamo le maniche ma restiamo fiduciosi, la curiosità negli Stati Uniti è sempre stata molto alta. Rockin’1000 è un progetto globale e il film aiuterà a diffondere la storia di questo incredibile esperimento sociale e musicale. Dopo il Sxsw siamo stati selezionati anche a Hot Docs, Toronto, altro grande festival».
Sceneggiare serie per adolescenti, per molti ragazzi ed ex ragazzi, è un autentico sogno. Come sei riuscita a farlo professionalmente?
«Il primo teen drama che ho scritto è stato Skam Italia, al debutto qualche anno fa. Un’esperienza molto bella a cui arrivai grazie a un incastro fortuito del destino, credo. Avevo visto la serie norvegese, di cui Skam Italia è il remake, trovando il link in un blog, e mi era piaciuta moltissimo. Non avevo mai visto una serie norvegese, non ero mai stata ad ascoltare il suono gutturale di quella lingua oscura per così tante ore. Mi aveva stregato. Ho amato la scrittura, lo stile documentaristico della regia, gli attori, il modo innovativo di distribuire i contenuti. Insomma, mi era piaciuto tutto di quella serie. Qualche giorno dopo, mi chiama il futuro regista di Skam Italia che mi chiede, con molto tatto, se avessi voglia di scrivere con lui una serie teen, tratta da un format straniero. Fino ad allora, in Italia, le serie teen non avevano fatto breccia sul target di riferimento e risultavano tutte finte, moralistiche e poco accattivanti. Insomma, fare un teen drama che piacesse agli adolescenti era una missione rischiosa. Quando ho saputo che si trattava di adattare il format norvegese, però, ho esultato: partivamo da qualcosa di unico e non vedevo l’ora di cominciare. Summertime, invece, è stato un lavoro di scrittura a più mani, intenso, molto divertente. E’ ambientato al mare, sulla costa adriatica, che è anche la mia terra natale, e ogni volta non posso non ripensare alla mia adolescenza, alle estati passate a scorrazzare tra ombrelloni e luna park. E’ partita su Netflix il 29 aprile. Quando ci è stato proposto di lavorare a un adattamento libero del romanzo di Moccia, abbiamo subito deciso di cambiare le coordinate geografiche della storia. Cercavamo un luogo iconico e allo stesso tempo non ancora raccontato nella serialità italiana. La riviera romagnola ci è sembrata perfetta e al broadcaster l’abbiamo presentata come la “California d’Italia”. Il territorio lo raccontiamo attraverso i suoi tratti più iconici, ma abbiamo voluto far scoprire anche angoli meno scontati».
Rispetto alle serie degli anni ’90, per intenderci da Beverly Hills a Dawson’s Creek, quali diresti che siano le principali differenze?
«Il vero spartiacque è stato proprio Beverly Hills 90210, ‘La Serie’ degli anni ’90, capostipite di una rivoluzione nel modo di raccontare l’adolescenza. Prima di allora, la tv ritraeva gli adolescenti come ragazzini sorridenti e con condotte esemplari, capaci solo di fare qualche marachella in stile Richie Cunningham di Happy Days. Ragazzi che vivevano in un microcosmo protetto. Beverly Hills è la prima serie che si è avvicinata ai giovani affrontando argomenti tabù come sesso, dipendenza da alcool, droghe e depressione. Da allora c’è stata una volontà costante di cercare realismo e profondità psicologica, fino ad arrivare, oggi, a serie “estreme” come Euphoria (Hbo). A livello strutturale/narrativo, le serie teen tendono a mantenere delle costanti perché appartengono al genere relazionale e seguono determinate regole drammaturgiche. Quello che evolve nel tempo e che oggi ha raggiunto, secondo me, un livello molto alto, è la sensibilità con cui gli autori riescono ad affrontare le fragilità e le paure degli adolescenti. Le storie sono sempre più crude, più vere. Le differenze stanno nella distribuzione, ovvero nel modo in cui i consumatori fruiscono dei contenuti. Grazie a piattaforme come Netflix o Amazon, e presto Disney+, possiamo vedere una stagione intera in un giorno. L’appuntamento settimanale, l’attesa del prossimo episodio, sono obsoleti. Ora il racconto, seppur episodico, diventa un oggetto da consumarsi il prima possibile».
E a livello di tematiche?
«Si è passati da un mondo adolescenziale raccontato in stile favolistico, dove i problemi erano legati quasi esclusivamente alle prime cotte, alle difficoltà scolastiche e a quel microcosmo protetto che dicevamo, a narrazioni diciamo più psicanalitiche, che hanno cercato di indagare problemi più profondi: dall’insicurezza del proprio corpo alla paura di affezionarsi all’altro, dai conflitti familiari alla perdita delle persone amate, dalla scoperta della propria sessualità alle diverse sfumature del tradimento, dall’integrazione religiosa allo status sociale».
Nel mondo delle serie giovanili, per quel che hai potuto osservare «da dentro», contano le reazioni dei fan? Se ne tiene conto?
«Dipende dai progetti. E comunque sì, le reazioni del pubblico si tengono in considerazione. Skam, che ha avuto una distribuzione molto particolare (gli episodi uscivano in “tempo reale”, all’ora e nel giorno in cui la storia era ambientata, ed erano accompagnati da molti contenuti extra, come clip e chat dei protagonistie) ne è un esempio lampante».
Come si entra in sintonia con i ventenni d’oggi che, inutile negarlo, a molti quarantenni sembrano alieni…
«Semplicemente ascoltandoli, osservandoli senza giudicare. Siamo noi adulti a doverci mettere in discussione se non li capiamo, non loro. Noi siamo gli alieni di un mondo che non riusciamo, spesso non vogliamo, capire fino in fondo».
Pensi esistano i presupposti, nel mondo pieno di offerta di oggi, perché una serie possa tornare ad avere il seguito di massa e il valore iconico di una Beverly Hills?
«Penso di sì. Abbiamo moltissima offerta, è vero, ma tendiamo a guardare tutti le stesse cose. Ci condizionano il passaparola, i consigli degli amici, la spinta dei social. Le serie-evento che catalizzano milioni di utenti sono frutto del nostro tempo. Una serie teen, se capace di veicolare temi universali, può ambire a una distribuzione internazionale ed essere vista in tutto il mondo».
Compila questo modulo per scrivere un commento
Nome:
Commento:
Settesere Community
Abbonati on-line
al settimanale Setteserequi!

SCOPRI COME
Scarica la nostra App!
Scarica la nostra APP
Follow Us
Facebook
Instagram
Youtube
Appuntamenti
Buon Appetito
Progetto intimo
FuoriClasse
Centenari
Mappamondo
Lab 25
Fata Storia
Blog Settesere
Logo Settesere
Facebook  Twitter   Youtube
Redazione di Faenza

Via Severoli, 16 A
Tel. +39 0546/20535
E-mail: direttore@settesere.it
Privacy & Cookie Policy - Preferenze Cookie
Redazione di Ravenna

via Arcivescovo Gerberto 17
Tel 0544/1880790
E-mail direttore@settesere.it

Pubblicità

Per la pubblicità su SettesereQui e Settesere.it potete rivolgervi a: Media Romagna
Ravenna - tel. 0544/1880790
Faenza - tel. 0546/20535
E-mail: pubblicita@settesere.it

Credits TITANKA! Spa
Setteserequi è una testata registrata presso il Tribunale di Ravenna al n.457 del 03/10/1964 - Numero iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione:
23201- Direttore responsabile Manuel Poletti - Editore “Media Romagna” cooperativa di giornalisti con sede a Ravenna, Arcivescovo Gerberto 17.
La testata fruisce dei contributi diretti editoria L. 198/2016 e d.lgs. 70/2017 (ex L. 250/90).
Contributi incassati

settesere it notizie-romagna-anita-rivaroli-tra-il-doc-sui-rockin1000-e-la-serie-teen-summertime-n24047 005
Licenza contenuti Tutti i contenuti del sito sono disponibili in licenza Creative Commons Attribuzione