Barbara Gnisci e Silvia Manzani - Lo zafferano le è apparso in sogno mentre progettava di mettere su famiglia. La 41enne Cristiana Conti, di Bagnara di Romagna, dopo dieci anni passati a fare mille lavori in giro per la Romagna - dalla barista alla commessa - alla fine del 2010 ha acquistato un terreno e un rudere insieme al marito impiegato: «L'idea di mettere al mondo dei bambini e di crescerli in mezzo alla campagna e alla natura ci piaceva molto. Ma ancora non sapevamo che direzione prendere». A forza di pensare, la rivelazione è arrivata una notte: «Ho visto il fiore lilla dello zafferano, di cui non sapevo nemmeno l'esistenza. Ero abituata a comprare la classica polverina gialla per il risotto, senza chiedermi l'origine. Da quel momento mi sono messa a studiare fino a che ho iniziato a coltivarlo». E oggi per Cristiana, che ha due bambine di cinque anni e venti mesi, lo zafferano è come un terzo figlio: «L'emozione che vivo durante la fioritura è incredibile. Dietro c'è tanto lavoro, certo: dal bulbo alla vendita, passando per la raccolta e il confezionamento, faccio tutto da sola. Sono sempre china, facendo biologico non uso prodotti chimici e tolgo le erbacce a mano con un coltellino. Ma non potrei essere più soddisfatta».
E la sua azienda «I cuori» - mezzo ettaro scarso di terreno - si sta facendo conoscere in zona e oltre: «All'inizio mi guardavano un po' storta ma credo che i contadini del posto si siano ricreduti. Mai avrei pensato, nella vita, di tornare alla terra. Mia madre era bracciante, i miei nonni contadini. Quell'aria l'ho respirata ma mai e poi mai condivisa».
I NUMERI
Quello di Cristiana non è un caso isolato. Continuano infatti a crescere, in provincia di Ravenna, le imprese giovanili nel settore agricoltura. Il ritorno alla terra è confermato dai dati al 30 giugno di quest'anno, quando la Camera di commercio ha registrato la presenza di 203 aziende guidate da persone sotto i 35 anni. Un anno prima ce n'erano 23 in meno. L'aumento del 12,8% è emblematico anche perché quello dell'agricoltura è, insieme ai servizi alle imprese, l'unico comparto che cresce in un panorama in continua flessione.
DI MADRE IN FIGLIA
Nella stalla da quattro notti, con flebo e tanto amore, per salvare i gemelli appena nati. «Non capita quasi mai – racconta Laura Cenni, allevatrice di bovini di razza romagnola – che nascano due vitellini e che riescano a sopravvivere entrambi, ma questa volta sono fiduciosa». E di esperienza Laura ne ha, dopo quarant’anni nell’azienda Cenni Società Agricola fondata dal babbo Giacomo, che gestisce insieme al fratello Luigi e che un giorno passerà nelle mani delle sue figlie, Fabiana e Angelica. Centocinque capi di razza romagnola, poco valorizzata e purtroppo in estinzione, che pascolano sei mesi all’anno nei calanchi delle colline di Riolo Terme, dove si trova l’azienda di famiglia. «Abbiamo anche un frutteto, un vigneto e dei cavalli – continua Laura -, ma io mi occupo soprattutto di bovini, portando avanti la tradizione dell’allevamento a ciclo unico, dalla fecondazione fino alla vendita. Con questi animali si instaura una vera convivenza. I nostri tempi sono scanditi dai loro e si finisce anche con il parlarci, come capita a me, quando la mattina vado nella stalla». A pensarla allo stesso modo Fabiana, iscritta all’ultimo anno della laurea magistrale in sicurezza e qualità della produzione animale: «Ogni vitello ha un nome, delle preferenze e ne conosciamo la storia. Ci riconosce dalla voce». Un lavoro duro e impegnativo, che non fa sconti né di sabato né di domenica ma che regala soddisfazioni. «Anche se dovessi decidere di fare altre esperienze sempre inerenti alla zootecnica - conclude Fabiana - è qui che ritornerò, dove sono nata e cresciuta, trai bovini e cavalli. Magari un giorno avremo una stalla nuova e con più tecnologie, per migliorare sempre più il benessere degli animali. Loro sono la mia passione».
PASSIONE E SACRIFICIO
«Quando mio papà mi mise per la prima volta su un trattore avevo dodici anni e a quattordici ero già nella terra per i secondi raccolti di fagioli, fagiolini e piselli». Igor Montanari, 38 anni, è diventato coltivatore a tempo pieno dopo la morte del padre avvenuta nel 2013: «La terra è stata per me un’eredità molto impegnativa sia dal punto di vista affettivo che economico. Mio padre mi ha trasmesso la passione per questo tipo di vita e i sacrifici che gli ho visto compiere mi hanno fatto desistere dall’idea di vendere tutto. All’inizio, però, è stata dura: l’amore incondizionato per un lavoro all’aria aperta non era sufficiente per campare». Tre ettari e mezzo di terra di cui 3mila metri di orto, nella frazione di Sant’Antonio, poco fuori Ravenna, sono infatti pochi per portarsi a casa uno stipendio ma comunque sufficienti per trovare vie alternative. Ed è così che all’inizio dell’anno Igor entra a far parte di un franchising, Ortiamo, attraverso il quale dà in adozione degli appezzamenti di terreno a clienti definiti ‘ortisti’, curando per loro il raccolto lungo tutto l’anno e producendo solo ortaggi e verdure naturali: «Se sei un dipendente questo è un lavoro come un altro ma, essendo un imprenditore agricolo, tutto cambia». Ogni mattina Igor si sveglia e beve un caffè guardando dalla finestra la sua terra, dove andrà a lavorare: «Ci sono tanti giovani come me che oggi si rivolgono all’agricoltura e di certo i macchinari moderni aiutano molto. Ma mio parere gli attrezzi preferiti di un contadino rimangono la zappa, il badile, la valga e la fresa. Purtroppo e per fortuna».