Volley Superlega, la Consar può ancora raggiungere i play-off e a Latina non può sbagliare
Marco Ortolani
«Ciao Biondo! Sono contento di vederti alla partita!».
«Ciao Sale-e-Pepe, mi dispiace per il risultato…»
«Erano troppo forti, la prossima volta andrà meglio».
Il dialogo immaginario (ma, chissà, forse qualche volta si sarà svolto veramente) è fra il biondo Karch Kiraly - considerato il più forte giocatore del millennio scorso - e il brizzolato «Ico» Tabanelli, che fu fra i dirigenti del Messaggero delle meraviglie, che incantò Ravenna e il mondo all’inizio degli Anni Novanta. La nobiltà ruspante e ravegnana del Conte Tabanelli e la ricercata finezza di King Karch, due mondi lontani che seppero amalgamarsi in una preziosa amicizia. «Ico» ci ha lasciato la scorsa settimana a 81 anni e Karch - in Italia per monitorare le atlete della Nazionale Usa da lui allenata che giocano nel nostro Paese - non ci ha pensato due volte a prendere una macchina e a raggiungere Ravenna da Verona, in tempo per i funerali e per raccogliere, poche ore dopo, la standing ovation del Pala De Andrè durante l’anticipo contro la Calzedonia. Di Tabanelli ricorderemo il suo concetto di «privilegio» di vivere lo sport, sia attivamente (fu un buon arbitro di calcio), sia da dirigente che da semplice appassionato. Un privilegio e un piacere che non potevano certo essere scalfiti da una sconfitta, che aveva sempre il dono di saper sdrammatizzare. «Sono sempre forti i ricordi di quegli anni», dice Kiraly nel suo italiano ancora formidabile. E Ravenna, nella tristezza per l’addio di «Ico» e nella contemplazione dell’eleganza naturale del fenomeno californiano, ha potuto tuffarsi in un passato quasi troppo bello per essere vero, troppo grande per la nostra piccola città. Un passato che ha lasciato scomode pietre di paragone (dopo l’uragano dello scudetto si storse il naso dinnanzi ad una squadra con Vullo, Giovane e Fomin che vinse la Coppa dei Campioni!), ma che ha seminato una bellezza che è alla base di quanto tuttora succede: della squadra che ha ritrovato la Serie A, dei sacrifici di aziende, dirigenti e volontari per mantenerla e di un Pala de Andrè ancora quasi pieno e affezionato a bagher, palleggi e schiacciate made in Ravenna.
E’ chiaro che i risultati non possono più essere gli stessi. Coach Graziosi lo ammette alla fine della «partitina» dei suoi contro Verona: «I nostri avversari hanno concesso poco: Kazisky e Boyer sono giocatori di levatura mondiale. Se giocano così noi potevamo opporci solo sparando la battuta o aspettando la super-prestazione di qualcuno capace di giocare con quella spregiudicatezza da cattivo ragazzo che ci permettesse di andare oltre i nostri limiti. Non è accaduto, anche se ammetto che un po’ ci credevo. Siamo stati in partita, mai troppo staccati nel punteggio, ma ci è mancato il guizzo». A sette partite dalla fine la contemporanea vittoria di Padova su Siena ha una duplice lettura: i toscani restano a 11 punti e la Consar, che ne ha più del doppio, sembra non doversi più preoccupare di retrocessione. I veneti, però, scappano a +4 e mettono un’ipoteca sui playoff. Lo sventurato Monza (infortuni in serie) ha perso contro Milano, ma conserva un punto di vantaggio con una partita da recuperare. Sarà sui brianzoli la corsa ad un traguardo sempre più arduo sia aritmeticamente, sia per una certa involuzione del rendimento del team ravennate.