Ravenna, Omicidio Ballestri: due anni senza Giulia, il 22 le motivazioni della sentenza

Ravenna | 16 Settembre 2018 Cronaca
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Federica Ferruzzi - Sono passati due anni da quel 16 settembre in cui la giovane ravennate Giulia Ballestri è stata uccisa barbaramente per mano del marito, il dermatologo Matteo Cagnoni. I fatti sono questi: l’uomo, secondo i giudici - che entro il prossimo 22 settembre dovranno depositare le motivazioni della condanna di primo grado - quel venerdì mattina di due anni fa attirò la moglie nella villa disabitata di proprietà del padre e lì la massacrò con una brutalità inaudita per poi abbandonarla, ancora viva, nello scantinato in cui venne ritrovata due giorni dopo dalla Polizia. Ma in questi due lunghi anni si è ascoltato di tutto: dai messaggi che Giulia e il nuovo compagno si sono scambiati, all’interpretazione che qualcuno ha dato di quello che la donna avrebbe potuto dire o pensare, trasformando i fatti del processo in un «probabile» che non sappiamo quanto possa, o meno, corrispondere al pensiero di Giulia. In pratica si è assunto questo tragico evento come «caso di specie» attorno a cui costruire un modello. E’ indubbio che le parole servano, e si è sbagliato a non scriverne quando si riteneva che il processo a cui si è assistito in molti casi sui giornali, sul web e sui media in generale avesse assunto toni che non si trova esagerato definire pornografici. Troppe curiosità, troppa voglia di conoscere aspetti pruriginosi della vita di una ragazza come noi. Spesso si pensa che il silenzio sia la strada migliore, perché quando la tragedia è così profonda e le parole per descriverlo non ci sono, allora è meglio tacere. Ma così si è fortificata la voce di chi, a volte anche in nome della difesa delle donne, si è appropriato dell’immagine di Giulia per stravolgerla. E ritornano alla mente le parole di Enzo Biagi, che diceva che quando, in un articolo, si parla di una donna, la si dovrebbe pensare come madre o sorella, di conseguenza il pezzo che abbiamo in mente di scrivere assumerà magicamente un equilibrio. Pur non essendole madre o sorelle, abbiamo trovato insopportabile tutto quello che su di lei è stato scritto. Il nostro giornale si è limitato a raccontare, udienza dopo udienza, grazie al prezioso lavoro della collega Marianna Carnoli, quanto emerso, ogni volta, dalle sedute, cercando di tralasciare gli aspetti più pruriginosi che questa triste vicenda ha sollevato. Ricordiamo la prima conferenza stampa in Procura, quando proprio in quella sede vennero dati a noi giornalisti particolari che, al fine di un racconto di cronaca, ritenevevamo essere assolutamente superflui. E’ stato poi alla sensibilità di ognuno capire cosa poter riportare e cosa no. E non l’abbiamo trovato giusto. In questi due anni la storia è stata trattata con tutti i particolari su giornali, pagine web, social, senza pensare ai tre bambini che un giorno, neanche tanto lontano, andranno a ricercare le parole che hanno contribuito alla fine della loro innocenza, già uccisa da chi ha posto fine alla vita della loro mamma. Ancora una volta, come nel caso Weinstein, l’attenzione è stata spostata da chi ha agito la violenza - in questo caso un marito all’apparenza rispettabile, «un buon partito», come è stato definito: pensiero che, come si ha avuto il coraggio di scrivere, è stato addirittura attribuito alla mamma di Giulia - a chi l’ha subita. Di Giulia è stato reso noto tutto, è stata sondata la vita in ogni particolare e ci chiediamo: qual era, il senso, ai fini giornalistici? Perché rendere pubblici aspetti così privati, che forse possono sì servire ai fini di un’indagine, ma non sicuramente a quelli dell’informazione? E non ne facciamo una questione di genere, come può dimostrare un editoriale scritto alcuni mesi fa dall’amico e collega Carmelo Domini, che testimonia come la trattazione dell’argomento sia solo una questione di buon senso e di intelligenza. Ora si guarda a fine mese, alla data del 22, quando si tornerà a parlare del processo. Sono passati due anni, ma temiamo che questo periodo non ci abbia insegnato molto: non una maggiore attenzione nella scelta delle parole e nella trattazione delle cose da dire. Serve più consapevolezza: Giulia non la riporterà nessuno, ma proprio per questo crediamo che non le si debbano attribuire pensieri e parole che non potrà smentire. E serve anche tanto rispetto, soprattutto per chi resta.
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