Ravenna, la corte d'Assise nega i domiciliari a Cagnoni

Ravenna | 25 Dicembre 2017 Cronaca nera
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Per l'ennesima volta è stata rigettata la richiesta dei domiciliari per il dermatologo ravennate Matteo Cagnoni, a processo per l'omicidio della moglie Giulia Ballestri. La Corte d'assise presieduta dal giudice Corrado Schiaretti, ha ritenuto che il braccialetto elettronico non avrebbe annullato il rischio di fuga dell'imputato che, nelle ore precedenti il suo fermo avvenuto la notte del 18 settembre 2016, dopo il ritrovamento del cadavere della moglie, era già andato all'aeroporto di Bologna con valigia e passaporto ed era scappato, a Firenze, alla vista della polizia. In sintesi, la Corte ha sposato la tesi del pm Cristina d'Aniello che aveva espresso parere contrario ai domiciliari per l'imputato che, accusato dell'omicidio della consorte aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà, durante le nove udienze del processo, è stato più volte ripreso dal giudice per aver commentato quello che i testi stavano riferendo alla corte e, lo scorso 15 dicembre, per aver chiamato "vacca" la suocera presente in aula. "Un comportamento che denota un'aggressività e un odio non sopiti" aveva commentato il Pm aggiungendo che, le prove a carico di Cagnoni emerse fino a quel momento delineavano un quadro indiziario talmente grave che se "il processo si chiudesse oggi la sentenza sarebbe di condanna". Per quanto il riguarda il pericolo di inquinamento probatorio, il Pm aveva sottolineato come nelle diverse lettere scritte alla stampa locale dal carcere, Cagnoni avesse messo in bocca ai testi già sentiti, parole che non erano state dette e questo "per influenzare e mandare messaggi ai testimoni successivi con un chiaro intento manipolatorio".  L'avvocato Giovanni Trombini che difende l'imputato aveva, invece, spiegato come la lunga detenzione oltre ad aver provato il suo assistito avesse anche esplicato un'efficacia dissuasiva e che non sussistessero più nè il pericolo di fuga come quello di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio. Aveva aggiunto  che le "uscite" poco ortodosse avute in aula potevano essere giustificabili con la sofferenza che Cagnoni prova per non vedere i figli da un anno e mezzo.
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