Ravenna, Costantini: "Con il disegno spero di aiutare chi è vittima di discriminazioni"

Ravenna | 24 Luglio 2020 Cronaca
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Federica Ferruzzi - C’è il volto di Mario Paciolla, volontario dell’Onu trovato inspiegabilmente suicida in Colombia, quello dell’attivista egiziana Sanaa Seif, «rapita in strada da agenti in borghese», quello di Giulio Regeni, ricercatore italiano torturato e ucciso al Cairo e quello di Patrick Zaky, lo studente arrestato  sempre in Egitto senza apparenti motivi, o ancora quello di Samuel Wazizi, giornalista del Camerun meridionale morto di tortura mentre era in custodia alla polizia. Ma la lista del lungo lavoro di denuncia portato avanti negli anni dall’artista ravennate Gianluca Costantini potrebbe continuare all’infinito. Volti diventati simboli che si mischiano a quelli sconosciuti di adulti e bambini migranti che escono dalle tavole e che fanno appello ad un’umanità sempre più difficile da trovare. Un lavoro che lo ha portato ad inimicarsi governi (quello di Trump) e regimi (leggi Erdogan) con l’unico obiettivo di dare voce a chi non può parlare. 
Lei è disegnatore, fumettista, attivista per i diritti umani, le etichette non sono mai piacevoli, ma quel è la definizione in cui si riconosce maggiormente?
«Mi definisco un disegnatore. Questo termine ingloba un po’ tutto, io uso solo il disegno per fare questo tipo di azioni. Molti usano i termini “artista” e “attivista” contemporaneamente, ma a me piace la cosa più semplice, che è il disegno». 
Partiamo dall’ultimo lavoro, le sagome di Patrick Zaky posizionate all’interno della biblioteca universitaria di Bologna: come è nato il progetto?
«Il progetto è nato da un invito del rettore dell’Università di Bologna dopo che aveva visto il lavoro fatto in piazza Maggiore con il Comune. Con lui abbiamo studiato un intervento più dedicato agli studenti per fare un progetto che si inserisse tra di loro mentre vivono l’università, studiano, parlano e stanno insieme. Si tratta di una grande installazione pensata per l’aula magna dell’università, 150 sagome che si andranno a sparpagliare nelle sale studio e nelle biblioteche universitarie affinchè i ragazzi si sentano ancora più immedesimati in lui, come se quello che è accaduto fosse qualcosa che può succedere a chiunque di loro. E’ un modo per avvicinarli e far sì che sentano Zaky ancora più vicino». 
Prima di questo c’è stato il disegno esposto sulla facciata del palazzo dè Notai, in piazza Maggiore...
«Quello era il disegno orginale che avevo fatto quando Patrick era stato arrestato. E’ forse più “cattivo”, perchè lì Patrick ha un filo spinato che lo circonda, lo attorciglia, segno di sofferenza e fastidio che questo filo appuntito può dare sulla pelle umana, proprio come succede nelle carceri egiziane dove le persone vengono torturate e si trovano a vivere momenti di grande pericolo».
In questo caso il lavoro è dedicato a Zaky, ma la sua attivita è rivolta anche ad altri che vengono ingiustamente accusati: come ha deciso di trasformare l’arte in parola per chi non ha voce?
«E’ stato conteporaneamente casuale e un’esigenza di cambiare un’attività iniziata da molti anni; avevo la necessità di uscire dal lavoro classico d’artista che parla più di se stesso che di altro per trattare del mondo e della realtà che ci circonda. All’inizio mi occupavo di società, politica, grandi avvenimenti,  poi pian piano mi sono avvicinato ai diritti umani, alla persona singola, agli individui a cui vengono inflitte pene che qui in Italia non possiamo neanche immaginare. La mia speranza è quella di aiutare con i disegni chi non ha voce».
Mentre parlava mi è venuta in mente l’immagine della clown cilena torturata che ha disegnato alcuni mesi fa...
«Ci sono tanti esempi, io disegno tutti i giorni dei casi, poi ce ne sono alcuni che prendono il sopravvento, come Zaky o Regeni, perchè siamo in Italia, ma ci sono altre immagini che ho fatto in Arabia Saudita, nel Barhein o in Cina che vengono usate nello stesso modo in cui avviene qui, diventando cioè l’emblema di una battaglia per l’affermazione di diritti umani». 
Ha citato paesi in cui, oggi come oggi, per lei sarebbe forse difficile tornare proprio a causa della sua militanza
«Sì, il paese che più si è schierato contro di me è la Turchia, che paradossalmente è quello che più amo. Proprio per questo sono molto attaccato a loro e seguo molto quello che succede. Sono stato accusato di terrorismo per i miei disegni, ma anche in altri paesi avrei sicuramente grossi problemi, soprattutto in quelli Sauditi, anche solo per andare lì come turista».
Ha parlato di figure emblematiche per l’Italia, ma non dimentichiamo che ce ne sono altrettante prodotte in questi anni per Ravenna: qual è l’immagine a cui è più affezionato?
«Qui ho disegnato di tutto, collaborando con un settimanale da ormai quindici anni ho disegnato tutte le persone e i luoghi della città; non saprei dire cosa è stato piu rilevante, è stata una mappatura di tutto quello che è successo. È una sorta di racconto sociale della città che bisognerebbe forse cominciare a raccogliere in qualche modo». 
Di sicuro tra i piu recenti c’è quello dedicato alla pandemia...
«Sì, quello è stato realizzato durante il lockdown: all’inizio ero un po’ bloccato, poi ho iniziato a disegnare. Si tratta di un semplice racconto di quello che succedeva e che potevo vedere da casa non riuscendo, ovviamente, a recarmi nei luoghi per fare un reportage. Sono scene semplici ma forti di persone, operatori e di chiunque abbia lavorato in quei momenti di grande crisi. Credevo fossero disegni freddi, ma vedo che le persone si commuovono molto, forse perchè sono state colpite da quanto avveniva ed è avvenuto nei mesi scorsi. Sono simboli del quotidiano che ci siamo trovati a vivere qualche mese fa».
Tra i lavori recenti c’è anche l’ultimo libro, «Libia», che parla della nostra attualità...
«Sì, è un testo scritto dalla giornalista Francesca Mannocchi che cerca di  creare un ritratto della Libia come se si trattasse di una persona. Si tratta di  una storia che dovrebbe spiegare a chiunque cosa accade in quel paese: sembra enigmatico e difficile da spiegare, ma dai risultati che sta dando pare che questo libro ci sia riuscito grazie ad un disegno molto dettagliato e ad un testo estremamente semplice. Questo fa sì che le persone entrino in questo mondo che nessuno conosce nonostante la Libia sia il paese davanti all’Italia. Ci sono solo i ricordi dei bisnonni, non si sa chi sono le persone che arrivano, è tutto un po’ esotico per l’italiano medio, ma ricordiamoci che queste persone sono “quasi” italiane, sono molto simili a noi e vivono in un paese complicato». 
Come è riuscito a documentarsi, vista la scarsità di informazioni? 
«Era impossibile andare, i disegnatori di fumetti non sono considerati giornalisti, di conseguenza non possono andare con una testata. Essendo una zona pericolosa, non potevo partire. Fortunatamente avevo Francesca che era lì ed è diventata la mia vista. Parallelamente mi sono documentato con mille foto, anche se le uniche reperibili ritraggono conflitti e situazioni di guerra. Si è trattato quindi di un lavoro di  costruzione per creare un mondo che esiste ma che non potevo vedere».
Quale sarà l’argomento del prossimo lavoro?
«Il prossimo sarà un libro sulla Cina scritto da Elettra Stamboulis, con cui ho realizzato tanti libri, e sarà in collaborazione con l’artista cinese Ai Weiwei».
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