Ravenna, Caporalato/1 Vicidomini (Cgil): "Gli stranieri i più sfruttati"

Ravenna | 29 Novembre 2019 Cronaca
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Federica Ferruzzi - In provincia di Ravenna ci sono 37.337 stranieri in età lavorativa (15-65 anni) e ben il 24,8% di questi è impiegato nel settore agricolo. E’ per questo che, a detta dei sindacati, i migranti rappresentano una sorta di “cartina tornasole” del fenomeno del lavoro irregolare. A fornire un quadro della situazione - offerto anche dal recente incontro organizzato da Ravenna in Comune con la serata «Siamo uomini o caporali» - è Raffaele Vicidomini della Cgil, che spiega: «Su 17.568 lavoratori a tempo determinato in agricoltura in provincia di Ravenna, il 52,7% è rappresentato da stranieri che però hanno in media 86 giornate di lavoro nel 2018 contro le 93 degli italiani. In tutto questo le donne straniere ne registrano 91 contro le 102 italiane. In un raffronto tra il 2008 ed il 2018 solo il 19% degli stranieri è stato presente in maniera continuativa, a fronte di una cifra molto più elevata di italiani, e questo dimostra un grande turn over che porta ovviamente ad una maggiore precarietà».

MENO CAPORALATO
Secondo il sindacalista, in materia di caporalato, i dati ufficiali divergono tra Romagna e Ravenna. Pare infatti che in provincia il fenomeno più rilevante sia quello che riguarda il lavoro irregolare, il cosiddetto lavoro grigio, e quello nero, (ovvero dove mancano sia contributi che assicurazione), rispetto a quello del caporalato, «che emerge più chiaramente nelle province vicine, in particolare Cesena, dove di recente la camera del lavoro si è costituita parte civile, ma non mi sento di dire che il fenomeno si fermi di fronte a confini amministrativi». 
Comprensibilmente, Vicidomini invita a non soffermarsi solo sui dati ufficiali. «I numeri che analizziamo - spiega - sono quelli forniti dall’ispettorato del lavoro, ma già il fatto che nel 2018 siano state visitate 48 aziende rispetto alle 62 dell’anno prima ci dice che anche per loro entrare nei luoghi di lavoro è diventato complicato, figuriamoci quindi come sia difficile tracciare un quadro esaustivo della situazione». L’anno scorso le pratiche effettuate sono state 37 contro le 56 dell’anno prima e le aziende risultate non in regola sono state 19 contro le 25 del 2017. «Le irregolarità in agricoltura nel 2018 sono state il 48,6% contro il 44,6% del 2017, 21 i lavoratori coinvolti nel 2018 contro i 42 del 2017. L’anno scorso non è stato registrato nessun lavoratore era extra Cee, mentre nell’anno prima ne sono stati contati 8. Quelli in nero sono stati 18 contro i 34 del 2017». L’approfondimento ha riguardato anche le tariffe, che hanno dimostrato, nella maggior parte dei casi, livelli di inquadramento più bassi. «Questo ci dice che nel nostro panorama agricolo, pur essendo gli stranieri più presenti, sono la fascia meno professionalizzata, più precaria e più debole, quindi più aggredibile, dell’intero sistema. Ricordiamoci che questo è l’aspetto ‘in chiaro’, ma c’è tutta una parte, che qualcuno stima in tremila persone, che è difficile da identificare. In base alla nostra esperienza quotidiana, che tocchiamo con mano nei nostri uffici, posso dire che i dubbi sono molti e che pur non essendo paragonabile ad altre realtà, le problematiche ci sono anche qua». 

TASK FORCE TRA I FILARI
Periodicamente, infatti, molti lavoratori si recano al sindacato per denunciare. «Abbiamo fatto diversi esposti e abbiamo supportato chiunque sia venuto a raccontare la propria esperienza - prosegue Vicidomini -. Nulla è rimasto intentato. Da un anno e mezzo, inoltre, anche se non abbiamo la velleità di sostituirci ai poliziotti, abbiamo formato gruppi di immigrati e funzionari sindacali che si recano nei campi e tra i filari per informare i lavoratori sui propri diritti. Lo facciamo con grande educazione, chiedendo permesso: a volte siamo stati respinti, altre no. Qualcuno, dopo quegli appelli, ci è venuto a trovare, ma abbiamo capito che c’è ancora tanto da fare». 

NEL 2020 CABINA DI REGIA
Il percorso, però, è stato tracciato e sta dando frutti. «Quando nel 2014 denunciammo per la prima volta la situazione, diversi rappresentanti delle associazioni datoriali ci accusarono di buttare fango sul settore, mentre oggi, a distanza di cinque anni, sembra ci sia più consapevolezza da parte di tutti. Voglio inoltre sfatare il mito secondo cui l’avvento della legge 199 del 2016 contro lo sfruttamento e il caporalato blocchi la produttività e l’economia del territorio, perché dalla sua entrata in vigore le giornate lavorative nel settore sono aumentate. Anzi, voglio sottolineare che la legge è dalla parte delle aziende oneste. Oltre alla parte repressiva, questa legge ne ha una propositiva in base alla quale si prevede l’istituzione di una cabina di regia per due aspetti fondamentali di contrasto al caporalato: il trasporto e l’incrocio domanda-offerta. Per questo, insieme ai colleghi di Cisl e Uil, solleciteremo gli organismi preposti affinchè si possa costituire una cabina di regia da far partire nel 2020 che preveda interventi che consentano anche un’efficace opera preventiva di contrasto a questo fenomeno degenerativo del mercato del lavoro». 
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