Otto marzo, storie di ordinaria "follia", sciopero contro la violenze di genere in tutte le sue forme

Anche in Italia ed in Emilia Romagna per l'8 marzo 2017 si organizza lo sciopero delle donne per rifiutare la violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia. Cortei, assemblee, manifestazioni creative per porre al centro ancora una volta la trasformazione radicale della società. «Se le nostre vite non valgono, scioperiamo» dicono le femministe che chiamano all'adesione dell'8 marzo dopo aver partecipato a Bologna il 4 e 5 febbraio alle assemblee di preparazione. Tanti i motivi per farlo tra cui la rivendicazione dell'applicazione della legge sull'aborto, molto spesso e tragicamente inapplicata (un nervo perennemente scoperto in Italia come dimostra il recente caso del concorso all'ospedale San Camillo per l'assunzione di due medici non obiettori per garantire l'attuazione della 194, immediatamente al centro di polemiche); l’educazione alle differenze come formazione culturale e scolastica sin dall’asilo nido per rendere la scuola pubblica un nodo cruciale per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne e tutte le forme di violenza di genere, non solo per pari opportunità ma per dire basta ai modelli stereotipati di femminilità e maschilità; la rappresentazione delle donne e del loro corpo rovesciando linguaggio e immaginario sessisti e misogini.
Le testimonianze sono state raccolte da Silvia Manzani
Samantha, badante transgender: «Non mi fanno lavorare»
Fino a quando tutti ‘l’associavano a un uomo, Samantha Perez non ha avuto problemi a lavorare come badante o addetta alle pulizie. Ma appena la sua transizione è diventata più evidente, ha cominciato a vedersi chiudere parecchie porte in faccia. Filippina, 37 anni, a Ravenna dal 2003, Samantha alla nascita era Willy, come ancora la chiamano in famiglia. Ma si è sempre sentita donna: «Sogno il giorno in cui farò l’intervento – racconta - e diventerò a tutti gli effetti una donna, come mi sono sempre sentita. Sogno una famiglia e voglio morire donna. Per ora, vado avanti con le cure ormonali, che ogni tanto sospendo perché hanno effetti molto pesanti sull’umore. Ho un compagno e sono alla ricerca di un lavoro». Alcune famiglie, infatti, durante gli ultimi colloqui di lavoro che ha sostenuto, le hanno obiettato l’uso del trucco e l’identità non definita: «Sono un’infermiera, ho sempre lavorato nell’ambito dell’assistenza. Davvero il problema è che non sono né un uomo-uomo né una donna-donna? Mi sento discriminata e vittima di transfobia».
Cristina, disoccupata a 50 anni: «Troppo vecchia»
Cinquant’anni, al momento senza lavoro, Cristina Lama, ravennate, ha ancora in mente uno dei suoi primi colloqui di lavoro: «Mi chiesero se avevo intenzione di avere dei bambini. Nel caso, durante l’assunzione avrei dovuto firmare una lettera di dimissioni in bianco». Dopo quell’episodio estremo, Cristina nei successivi colloqui la domanda sul desiderio di maternità l’ha sentita ripetere con costanza, anche se con maggiore cautela: «Mi hanno sempre chiesto se stessi cercando dei figli, come mai non ne avessi ancora. E io glissavo». Dopo essere diventata mamma, dieci anni fa, ha iniziato a lavorare per l’azienda di proprietà di una donna con tre bambini: «Mi sono sentita più capita. Ma avevo già quarant’anni ed era sottinteso che non sarei rimasta incinta di nuovo». Adesso Cristina si ritrova di nuovo a combattere con le discriminazioni: «Molte aziende non mi prendono perché preferiscono formare una donna più giovane, anche se oggi si va in pensione tardissimo. Io ho bisogno di lavorare almeno per altri dieci anni ma chi investe su una 50enne?».
Deborah, affetta da fibromialgia: «Tagliata fuori da tutto»
Dopo un apprendistato che invece che quattro anni e mezzo ne è durati sette per via di due gravidanze, Deborah Tritto, 33 anni, si è vista dare il benservito: «Qualche mese fa mi hanno lasciata a casa dall’azienda in cui lavoravo all’help-desk telefonico. La motivazione ufficiale è che non mi potevano concedere il part-time, che avevo chiesto per riuscire a seguire i miei due figli. Poi, in via ufficiosa e senza testimoni, il responsabile mi ha detto che il problema vero è che sono donna, mamma e per di più con problemi di salute». Affetta da fibromialgia, Deborah ha intenzione, nei prossimi colloqui che sosterrà, di non parlare né della sua malattia né della sua condizione familiare: «Sono fatti privati, non possono condizionare un’assunzione. Quando non ero ancora mamma non avevo il profilo giusto perché prima o poi avrei avuto figli. Ora che lo sono non vado di nuovo bene, perché i bambini poi si ammalano. Ci sono leggi che tutelano la malattia del bambino, la gravidanza a rischio e la maternità facoltativa. Ma se ne usufruisci, vieni guardata male e, appena si può, tagliata fuori».
Barbara, arbitro: «Ogni domenica insulti sessisti in campo»
«Sono 18 anni che, la domenica, mi danno della puttana». Barbara Panizza, presidente della sezione Aia di Ravenna, è stata tra le prime donne ad arbitrare sui campi di calcio. Allora, le difficoltà nel farsi riconoscere e stimare in un mondo a prevalenza maschile si toccavano con mano sia nel rapporto con gli spettatori che in quello con i colleghi: «Oggi, a livello professionale, le cose sono molto cambiate. Esistono carriere specifiche per le donne, che hanno la strada più spianata se vogliono fare questo mestiere. Io, poi, da quando sono arrivata alla dirigenza dell’Aia, ho dimostrato di valere quanto un uomo. E alle riunioni certi sguardi e certi pregiudizi non li avverto più, anche se noi donne, a livello numerico, siamo un’esigua minoranza». Ma il problema resta sugli spalti: «Offese e insulti sono all’ordine del giorno. E la cosa incredibile è che spesso provengono anche dalle donne, quasi sempre dalle mamme che vanno a vedere le partite dei figli».
Francesca, attrice: «Volgarità su Facebook all’ordine del giorno»
«Gli uomini pensano che tu non possa scegliere e dire no, che tu debba concederti per forza. Se ti opponi, ti chiedono chi ti credi di essere, ridimensionano di colpo i complimenti iniziali, sostenendo che non sei poi così tanto bella. E che sei pure vecchia». Francesca Mazzoni, attrice teatrale e scrittrice, riceve con costanza messaggi privati su Facebook da parte di uomini: «C’è chi mi ha raccontato di masturbarsi guardando le mie foto. C’è chi mi ha offerto di fare la lotta in bikini nella saponata, bannandomi quando ho rifiutato. E chi si è presentato come l’uomo migliore, proponendomi con arroganza di andare a prendere un caffè: quando ho gentilmente declinato l’invito, mi è stato risposto che ‘i cavalli selvatici come me vanno domati da cowboy duri’. Mi ritrovo spesso a dover bloccare chi si permette certi improperi». A colpire Francesca, è sempre la stessa dinamica: «Chi mi contatta con queste modalità squallide in genere non dice ciao, non si presenta. Va dritto al sodo, con molta volgarità. E tu non puoi osare rispondere che non ti interessa».