Csr ha vinto il Premio Logistica 2020. L’ad Figna racconta le attività dell’azienda ravennate

Ravenna | 08 Febbraio 2021 Economia
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Sono i più bravi a riparare container tanto che le linee di navigazione che si rivolgono alla Container Service Ravenna (Csr) sono di riferimento per tutto il mondo della logistica internazionale. Per esempio alcuni container riparati a Ravenna erano stati danneggiati nell’esplosione di Beirut dello scorso anno. Inoltre Csr ha vinto il Logistico dell’anno 2020 per la Sostenibilità ambientale per il progetto «New Life», volto alla riduzione degli scarti derivanti dalla lavorazione dei container, ma anche ispirato all’economia circolare.
Csr nasce oltre 30 anni fa per le attività di verifica e riparazione dei container delle compagnie di navigazione, a cui si affiancano le attività di  vendita, noleggio, e trasformazione di container ed equipment speciali.
Filippo Figna, ad di Csr, ci parla della strategia “win-win” dell’azienda ravennate e dei suoi risultati.
Figna, di cosa vi occupate?
«Siamo in 15 e la nostra sede si trova all’interno del Terminal Container Ravenna (Tcr). La nostra società è controllata da Tcr e partecipata da Sapir e Compagnia portuale. Il nostro core business riguarda la riparazione e gli allestimenti dei container. Grazie alla nostra posizione strategica, i container vengo portati direttamente nella fase di sbarco delle navi; così le linee di navigazione risparmiano i costi del trasporto del container vuoto fino all’officina di riparazione. Nel tempo ci siamo accorti che i container hanno tante altre potenzialità, in particolare possono essere trasformati in magazzini, uffici, spogliatoi, una piccola sala quadri elettrica. In più possono essere riciclati, per questo abbiamo vinto il premio Logistica a dicembre. Siamo partiti dal fatto che i container hanno una vita marittima e una vita fuori dal marittimo: per l’uso marittimo devono essere perfetti, non possono avere mancanze strutturali che rischino di inficiarne la sicurezza nella movimentazione e nel trasporto garantendo l’integrità delle merci trasportate. Quando ci sono container che le linee ritengono non sia conveniente riparare allora li acquistiamo. Possiamo recuperare componenti singoli, dalle porte alle maniglie, ai blocchi d’angolo per i box e i teloni dei container open top. Per i container refeer (refrigerati nda) invece c’è molto valore aggiunto specie per quello che riguarda motore, condensatore, evaporatore. Tutto il container può comunque essere riciclato per una camera fredda o frigorifera in cui tenere delle derrate. Si tenta di recuperare il più possibile». 
Quali sono i motivi di questa scelta?
«Abbiamo cercato di puntare a un’economia circolare,  in quanto la nostra esperienza ci ha permesso di guardare al di là della semplice riparazione, vedendo ‘ricchezza’ nel materiale che fino a qualche anno fa era da smaltire.  Ma il Logistico dell’anno lo abbiamo vinto anche per quello che riguarda la salubrità degli ambienti di lavoro. Abbiamo abbandonato la verniciatura a spruzzo a favore della verniciatura a pennello o a rullo, evitando che gli operai vernicino in un ambiente insalubre. Sono scelte più onerose ma garantiscono la salute dei lavoratori». 
Come è nata l’idea di puntare sul riciclo?
«Puntiamo al green, ma anche al risparmio: un container da buttare si vende a peso visto che è fatto di ferro e legno. Alcuni componenti hanno un valore irrisorio se venduti al chilo, ma riciclati invece acquistano un loro valore. Nell’ottica del win-win, vincono tutti, la Csr e l’ambiente. Una porta che da sola non vale niente per un’azienda agricola in un ricovero attrezzi diventa un oggetto di valore. Diminuisce lo scarto anche se non si può recuperare tutto naturalmente. Le potenzialità dei container sono veramente molte».
Il calo dei container, che già era in difficoltà negli scorsi anni, nel porto di Ravenna, con la pandemia si è aggravato. Un bilancio del 2020?
«La pandemia si è fatta sentire sicuramente. Non abbiamo ancora chiuso i bilanci, ma per assurdo, per quanto possa aver influito, la crisi ha tenuto aperto il mercato delle riparazioni, perché ha fermato i container nei depositi sparsi per il mondo con conseguente esigenza di riparare quelli disponibili. Il volume è calato, ma non è diminuito il volume di riparazione dei container, la loro carenza ha mantenuto un certo livello di riparazioni che ci ha permesso di non subire troppo la crisi. E’ calato il fatturato, ma non abbiamo fatto nemmeno un’ora di cassa integrazione».
Quanti container riparate l’anno?
«Sui 5-6.000 container. Le operazioni di riparazione vanno dalle più piccole alle più grandi, da una maniglia incastrata a problemi ben più gravi, come container che vanno ricostruiti. Abbiamo professionalità elevate al nostro interno, per questo abbiamo difficoltà a trovare personale, devono essere saldatori, carpentieri, falegnami. Abbiamo bisogno di persone che siano in grado di riparare qualsiasi parte del container. Oltre alle riparazioni ci occupiamo anche di allestimenti dei container, tra questi sempre più rilevante è quello delle flexi tank, soluzione che permette il trasporto di prodotti liquidi alimentari o chimici; il container box è una funzionale alternativa alle cisterne». 
Chi sono i vostri clienti?
«Per la vendita del container trasformato ci muoviamo in un raggio di 200-300 km, perché poi non conviene per le spese di trasporto. Per quanto riguarda invece le riparazioni dei container lavoriamo con linee di navigazione internazionali che si rivolgono a noi per riparare i container danneggiati. Come, ad esempio, quando abbiamo riparato parte dei container danneggiati dall’esplosione in Libano perché sappiamo fare bene il nostro lavoro grazie ad un’elevata professionalità».
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